Burri e Fontana a Brera

23 settembre 2010

Milano, Pinacoteca di Brera

C’è sempre una prima volta. Anche per due grandi come Burri e Fontana. I maestri del Novecento in un inedito accostamento con i capolavori della Pinacoteca meneghina…

Brera non un è white cube. Brera resiste alla “parquetizzazione” selvaggia dei musei, imposta a prescindere dalla loro storia e dalla loro vocazione. Brera, nonostante i restauri, conserva un quid di romanticamente decadente. Eppure, nel percorso della pinacoteca si segue, e ci si fa seguire, dall’arte contemporanea senza il fastidio della contaminazione.

Gli ospiti, per l’occasione, si chiamano Alberto Burri (Città di Castello, Perugia, 1915 – Nizza, 1995) e Lucio Fontana (Rosario, 1899 -Comabbio, Varese, 1968). E, tra sacchi, combustioni e tagli, sono proprio quelli che ci si aspetta, in una mostra che ragiona secondo criteri analogici e senza voli pindarici, con accostamenti chiari, stabiliti prevalentemente secondo cromie e affinità geometriche. A volte basta poco -un colore, un dettaglio, un andamento, il senso atmosferico -a creare il collegamento, ad annodare un filo. Ad esempio, il fresco accento impresso su un Nero (1951) di Burri, spartiacque e raccordo tra i luminosi Cima, Bellini e Mantegna e la galleria di ritratti cinquecenteschi in gramaglie, non invita forse a riconoscere l’identico tocco di verde sul Ritratto di Laura da Pola di Lorenzo Lotto?

Si direbbe altresì che, vincolati a una selezione rappresentativa, i curatori abbiano fatto leva sulle emozioni: il collage di Fontana che fiorisce tra le rutilanti tavole gotiche; la sciabolata d’oro di Burri che balugina in mezzo agli imponenti “teleri” veneti. Nella Sala IX, poi, si viene letteralmente accerchiati dal dialogo tra i capolavori del Rinascimento veneziano e quelli moderni, raggruppati a formare un’ideale tribunetta nel cuore del cuore del museo, in un tessuto di corrispondenze radiali.

In alcuni casi, addirittura, sono i moderni a supportare gli antichi, offrendo spunti per letture inedite, ponendone in risalto alcune caratteristiche, attirando l’attenzione su nomi ingiustamente trascurati. Fontana, più poliedrico, fa da sponda a Luini nella cappella di San Giuseppe; ravviva la staticità post-tridentina dei bolognesi con lo spettacolare neon per la IX Triennale di Milano (qui riprodotto dall’originale); piomba con l’impatto di un meteorite sull’elefantiasi barocca.

Tra gli altri brani felici, la consentaneità estetica e spirituale di entrambi gli artisti novecenteschi con Piero della Francesca, sospesa tra calda rusticità e astrazione intellettualistica; e, quasi commovente, l’affinità tra la Cena in Emmaus del Caravaggio (la più “rozza” delle due versioni conosciute, intima, toccante, borromaica) e il grezzo Nero SC3 di Burri.

Quando si tratta fra pari, un modo di comunicare si trova sempre.

 

anita pepe

mostra visitata il 23 luglio 2010

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