Se il Crocifisso è vietato ai minori

13 maggio 2009

Federico Solmi alla NOTgallery con il Cristo sequestrato e poi restituito

Bologna, fine gennaio. Un tranquillo lunedì ad Artefiera, iniziata quattro giorni prima. Gli stand stanno già smontando, ma qualche ritardatario c’è sempre. Tra questi, un carabiniere. Che, passando per il box di NOTgallery, resta colpito da un Crocifisso a dir poco particolare. Inchiodato vi è infatti un povero Cristo con la mitra di sghimbescio e un fallo smisurato, dalla punta rossa e tonda come una mela. L’autore è Federico Solmi, 36 anni, bolognese di nascita e newyorchese d’adozione, che aveva già esposto in giro per il mondo, e senza alcuna grana, i lavori del ciclo “The evil empire”, ironicamente modellato sulle pale d’altare medievali, dove per giunta una videoanimazione mostra le gesta poco edificanti di un Papa, puramente immaginario, al servizio di tutti i vizi. Il resto è cronaca giudiziaria: dal sequestro dell’“oggetto osceno” alla sua restituzione, decretata dal Tribunale della Libertà felsineo. Ora NOTgallery ripropone le pietre dello scandalo in una mostra “vietata ai minori” (da domani al 21 giugno, in piazza Trieste e Trento 48) dove, più che declinare le proprie responsabilità, i padroni di casa invitano gli spettatori ad assumersi le loro: dopo aver ammirato l’installazione nella main room, i visitatori dovranno perciò esibire la carta d’identità e sottoscrivere un documento per accedere al “privé” dove saranno esposte le nuove opere. Il titolo? A dir poco sferzante e allusivo: “Walking with the devil”. E allora eccolo, il Lucifero della pittura, che dalla Grande Mela non la manda certo a dire…

Prima domanda: sei credente?

«Personalmente credo che le religioni siano la causa principale della maggior parte dei conflitti e dei problemi che da milleni affliggono la vita degli esseri umani sul pianeta Terra».

Non trovi che oggi la Chiesa sia un bersaglio troppo facile?

«Non ho mai mai considerato la Chiesa cattolica o altre istituzioni religiose come bersagli: semplicemente per me sono delle grandi fonti d’ispirazione».

Perché si toccano meno altre confessioni religiose, ad esempio l’Islam?

«L’Islam non appartiene alla mia cultura, alla mia adolescenza, alla mia formazione. Sicuramente se fossi nato nel Medio Oriente avrei fatto altrettanto. Abito in un paese, l’America, in cui ci si può esprimere liberamente, senza la paura di essere linciati pubblicamente o di finire nelle aule di tribunale, come purtroppo mi è successo in Italia».

Un artista oggi ha modo di farsi notare senza fare scalpore? E se sì, quale?

«Non è lo scandalo a rendere famoso l’artista, anzi spesso nell’immediato produce solo danni. Durante lo scandalo la maggior parte della stampa ti massacra prima di esaminare realmente i fatti, ti butta in pasto ai pescicani, ti tratta come un criminale arrivato a turbare l’armonia della società. Questi episodi ti danno una celebrità da Bar dello Sport che non serve a niente. Per me questo scandalo rappresenta semplicemente un piccolissimo episodio di una carriera che va costruita invece con la validità della propria ricerca, con l’innovazione della propria opera e con il sapere tradurre in opere quello che c’è di significativo nel contesto storico che stiamo attraversando. Prima di questo inutile baccano gli addetti ai lavori erano già a conoscenza delle mie opere, i miei video erano già apparsi in tante riviste, giornali e televisioni, gallerie, fiere e musei in diversi paesi del mondo».

Perché la Chiesa sembra essersi alienata la simpatia di tanti?

«Perché purtroppo la Chiesa come istituzione non si vuole aprire alle esigenze delle nuove generazioni, e sta riassumendo in Italia un ruolo antipatico che è quello avuto in passato, di ostacolare chi in diverse discipline cerca di esprimersi liberamente».

Ritieni di essere stato censurato più per blasfemia o per pornografia?

«Lo deciderà la magistratura, io hola coscienza a posto. Il ciclo “The Evil Empire” mi ha permesso di vincere quest’anno uno dei premi più prestigiosi al mondo riservato alla videoarte, il Guggenheim Fellowship consegnatomi dalla Fondazione Guggenheim di New York. Prima di me sono stati premiati artisti come Bill Viola, John Baldassari, Dennis Oppenheim. Per me il video contestato costituisce la mia opera migliore e credo rappresenti un’opera estremamente innovativa nel campo della videoarte, e se in Italia non lo vogliono riconoscere non ci posso fare niente, significa che non sarò un profeta in patria… mi accontenterò del successo in America e in tanti altri paesi europei che da anni mi danno la possibilità di fare questo mestiere e creare progetti sempre più ambiziosi».

Hai spesso dichiarato che non volevi offendere nessuno. Non ritieni che ci sia adesso una provocazione, nel proporre una mostra “vietata ai minori”?

«Sinceramente non so neanche più io cosa significhi la parola provocazione. Ma siccome in Italia vengo sempre più spesso considerato un artista degenerato, pervertito e adesso addirittura anche un criminale, forse è giusto che per non turbare la morale degli italiani si chieda un documento di identità all’entrata della galleria…».

Da molto tempo vivi a New York. Ma se fossi ancora in Italia a chi destineresti il tuo 8 per mille?

«Ad istituzioni che realmente ne hanno bisogno… né alla Chiesa né allo Stato italiano. Ci sono tantissime organizzazioni serie di beneficenza che soffrono per mancanza di fondi. Nei limiti delle mie possibilità, partecipo spesso a questi eventi, donando opere. Mi ritengo una persona molto fortunata, credo di avere ricevuto tanto dalla comunità, quindi sono sempre pronto di potere dare il mio contributo a qualche buona causa».

(Roma, 13 maggio 2009)

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