Cilicio, calvario ed espiazione

24 luglio 2007

biennale_opinioni

Un debutto in pompe funebri più che in pompa magna. Robert vo’ fa l’americano, e ai blocchi di
partenza si blocca sui blocchi. Usa – Urss. Ancora loro…

 

Chi siamo? Dove andiamo? Sembra chiedere, nero su bianco, il grande punto interrogativo sui palloncini di Hiroraren (memento) Mori. Non vi arrovellate, risponde la mostra del curatore, perché, cristiani o musulmani, atei o jainisti, pittori o videomaker, una cosa è certa: finiremo tutti quanti là. Naturalmente, una volta abbandonata la valle di lacrime che Storr ci ricorda con trappista implacabilità, alla faccia di un titolo che ai più superficiali tra gli spiriti, fuorviati dalla parola sensi, lasciava già pregustare colte e squisite mollezze da Decadenza. L’evidenza è invece un cingolato cigolante che, tra soluzioni déjà vu e approcci datati, procede nell’Arsenale (militare) su uno sterrato dissestato e spesso inutilmente tortuoso. A partire dall’eccessiva durata di alcuni video, punitiva e irrispettosa tanto per il pubblico – oggettivamente impossibilitato a trascorrere la maggior parte della giornata di fronte a filmati lunghi fino a 90’-, quanto per gli artisti, condannati ad essere “fruiti” in modo parziale e approssimativo. Ancor più ridondante è l’atmosfera engagé (e spiccatamente bellicista) che, non senza punte di stucchevole retorica, aleggia come una cupa nuvolaglia, resa ancor più soffocante dall’abbassamento della cortina di ferro. (altro…)

Giacomo Montanaro

24 marzo 2007

Napoli, Castel dell’Ovo

La forma dello spirito. La sfida dell’invisibile. Le pulsioni premeditate e i bollenti spiriti di Giacomo
Montanaro, proiettato tra il tormento e l’estasi verso i suoi fantasmi elettrici…

La febbre, l’attacco. È un accesso di sana follia l’urgenza del gesto di Giacomo Montanaro (Torre del Greco, 1971): ogni quadro una performance, un atto liberatorio, ma soprattutto una corsa contro il tempo e la materia. Disseminati nella prima personale napoletana una dozzina di frutti maturati nell’ultimo anno, velocemente ma non in fretta, in seguito ad un progetto mentale che ogni volta si concretizza con straordinaria rapidità in una pittura emotiva. Purtroppo, a smorzarne l’impatto s’intromette la location: prestigiosa sì ma soverchiante, causa di una certa dispersione visiva e psicologica, riparata dall’efficacia dei due lightbox posizionati nei punti più oscuri, quasi emblemi del germe oscuro di un’esecuzione che estrae chimicamente il balenio della figura dalle tenebre dell’ignoto. Rispetto al passato, più ordinata e ponderata, e non priva di una certa propensione sequenziale, è la composizione delle opere, alcune delle quali echeggiano il pathos pregnante di citazioni illustri (La cacciata di Adamo ed Eva di Masaccio), altre, come rilievi di sarcofagi, sembrano pronte al salto verso la tridimensionalità, svelando così la retrostante mano dello scultore. Scultore per formazione, Montanaro, nonostante (altro…)

Danilo Correale

10 novembre 2006

Napoli, Franco Riccardo

Candide illusioni. Poetiche evasioni. Palloni gonfiati di luce. Estemporaneo e progettato, un sogno che più bianco non si può. Così Danilo Correale racconta il suo volere volare…

Illuso, ma tutt’altro che povero. Cento ne pensa e mille vorrebbe farne Danilo Correale (Napoli, 1982), promessa della Young Neapolitan Art scelta da Franco Riccardo per proseguire un autunno volutamente e provocatoriamente local. Sperimentatore curioso e meticoloso, restio all’iscrizione in questo o quell’albo professionale, alla prima esperienza in galleria opta per un battesimo effetto flou, archiviando la buona partenza dello scorso anno all’Accademia di Belle Arti, quando le complicate grafiche modulari ispirate ai numeri di Fibonacci attrassero più d’un apprezzamento. Invece di fossilizzarsi sotto gli strati di resina e silicone all’epoca copiosamente impiegati, il “debuttante” presenta qui i frutti di una ricerca che deve avergli fatto passare qualche notte… in bianco. Questo, infatti, il colore che domina un percorso elegante e coerente, cui si perdona anche qualche ingenuità concettuale, come il lattiginoso dittico-manifesto “Art is my illusion. Illusions are your art”. Consapevole dell’assunto lapalissiano “di bianco non ce n’è uno solo”, il piccolo chimico da atelier presta la massima attenzione a non sbagliare candeggio, manipolando la tinta della purezza come bambagia fosforescente, visione fantasmatica, fiocco di luna, sospiro di neon. (altro…)

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