Vite parallele

14 settembre 2010

Biennale Architettura 2010

Omologo veneziano. Snapshot dall’ultima Biennale di Architettura, sempre più simile a quella d’Arte (e viceversa). Un male? Un bene? Piuttosto, un dato di fatto che sollecita una riflessione.
Se solo non incalzasse il dilemma: “Ma dove e quando l’ho già visto?”…

Da quando gli architetti si son messi a fare gli artisti, e da quando gli artisti si son messi a fare di tutto, non ci si capisce più niente. Così, un anno sì e l’altro pure, il ritornello a Venezia è diventato: “Questo lo potrebbero lasciare pure l’anno prossimo”, indifferentemente riferito al progetto presentato per la Biennale d’Arte o per quella di Architettura. Visti i tempi di austerity, il consiglio non sarebbe disprezzabile, se non fosse emblematico di una situazione ibrida che non si sa se provochi più disagio, interesse o rassegnazione tra addetti ai lavori e visitatori. I quali non fanno in tempo a dimenticare che si trovano a dover ricordare dove e quando si è vista la tal cosa. In ciò agevolati dalla diffusione delle immagini su siti specializzati e social network, dove la caccia allo smascheramento del déjà vu si fa implacabile.

Neanche stavolta è stato troppo diverso. E ci si è messa pure la direttrice Kazuyo Sejima, la quale: apre l’Arsenale con la “scultura” di Smiljan Radic + Marcela Corea; sbandiera uno spottone in 3d (su se stessa) griffato Wim Wenders; convoca uno che architetto non è come Olafur Eliasson; fa “performare” l’indefesso Hans Ulrich Obrist; dissemina foto qua e là (Niedermayr, Lambri); seleziona anti-strutture come l’impalpabile ordito dei giapponesi junya.ishigami+associates (che s’è preso il Leone d’Oro e le maledizioni dei fotografi) e la “stanza” polifonica di Janet Cardiff (che della Biennale – d’Arte – era stata ospite nel 2001). (altro…)

INTER(TRA)MEZZINO

30 agosto 2010

Voi andate di panini, eh?

Così ci apostrofa il ragazzo, ironico e complice. Classico tipo da vernissage: slanciato, educato, cool, taglia 40, certamente poliglotta e cosmopolita.

Alziamo le spalle con un grugnito: abbiamo fame, vent’anni di più e poca voglia di sostituire la masticazione con la conversazione. Dubito voglia attaccar bottone anche il ragazzo . Che difatti, lanciata la battuta, si accartoccia nella posizione del loto in mezzo ai suoi coetanei. Slanciati, educati, cool, taglia 40, poliglotti e cosmopoliti come lui.

Quattro rompicoglioni venuti a disturbarci il pranzo al sacco, sbuffo tra me e me. Però poi penso che noi abbiamo conquistato il muretto. Sotto il culo e dietro le spalle. Come persone civili, tsé, pure se stiamo mangiando le merende di pane come due muratori.

FLASHBACK: ascendiamo lo ziqqurat del Padiglione Paesi Scandinavi, ciascuno con due piatti di plastica impilati l’uno sull’altro, minacciosamente in bilico. Avanzo a testa bassa, imbarazzata: in questi ambienti non è chic mangiare, anche se cinque metri più in là davanti ai buffet degli alcolici c’è una ressa che manco il primo giorno di saldi da Zara. Evito di inciampare in un calice di vino, abbandonato su uno degli alti gradini, e finalmente mi abbandono anch’io ai morsi della fame. Quando il gioco si fa duro, la macchina reclama benzina. Carburante carboidrato. La focaccia vegetariana (35 euri al mq) si è appena avviata nei meandri della peristalsi, quando il primo intruso irrompe nella nostra Arcadia calorica: barbetta a chiazze, aria Krisna, pastrano di cotone fantasia Lager sui pantaloni larghi.

Sorrisi reciproci. (altro…)

WIM IN POLVERE

30 agosto 2010

Ancora qualche riga sul corto di Wim Wenders, hommage a Kazuyo Sejima (che così si aggiudica una doppia vetrina nella mostra curata da lei medesima) proiettato in 3D all’Arsenale.

Naturalmente, guai a non osannare l’epifanico materializzarsi di questo ennesimo capolavoro, permeato di magica poesia (cioè la solita roba “intellettuale”, il cui grado di elevazione si identifica col numero di parole sussurrate ogni quarto d’ora da una voce aliena come in una réclame Barilla). Lo immagino, ora starete disprezzando la mia sensibilità da camionista, la mia ignoranza da impiegatuccia che sbotta contro la Corazzata Potemkin. Ma sappiate che questa rozzezza d’animo non mi ha impedito di provare un nobile sentimento: la compassione. Perché i protagonisti di questo “spottone” paiono tutti depressi. (altro…)

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