Laib: riso e cera per dire la purezza

2 dicembre 2016
Wolfgang Laib_ Galleria Alfonso Artiaco, Napoli_nov-dic 2016

Wolfgang Laib_ Galleria Alfonso Artiaco, Napoli_nov-dic 2016

Miseria è nobiltà. Appartengono ad un’aristocrazia dello spirito i materiali con cui Wolfgang Laib ama costruire le sue installazioni, in mostra fino al 10 dicembre alla Galleria Artiaco. Polline, riso, cera: doni della natura, semplici e preziosi, che incontrano la solidità del marmo e lo splendore del metallo. Ampie e pulite, le stanze di Piazzetta Nilo sono lo scenario deputato ad evocare l’idea di purezza che l’artista tedesco, per manifesta disillusione verso la cultura occidentale, continua dagli anni Settanta a perseguire nel corso dei suoi viaggi, soprattutto in India. Dolce è il suo invito ad intraprendere il viaggio espositivo: semplici barchette di ottone dorato che, come in una cerimonia religiosa, scivolano non già tra le onde di un antichissimo fiume ma sul pavimento, fendendo mucchietti di riso. Elemento ricorrente del suo lavoro ed emblema di fertilità e nutrimento, i chicchi sono ammassati a mo’ di familiari baluardi intorno a case dal tetto spiovente; oppure vengono disposti in fuga prospettica, allineando ordinati mucchietti nelle due stanze “sbarrate” dal tappeto di polline. Fiore dopo fiore, stagione dopo stagione, nei pressi della sua dimora in Germania Laib raccoglie pazientemente la tenue polvere, che con la sua impalpabile presenza allude non tanto alla precarietà delle cose, quanto alla necessità di preservarle rispettando i ritmi della natura. Per ritrovare la smarrita sapienza del sacro, ci si può ritirare in mondo di bianchi silenzi, cercando l’angolazione migliore per decifrare il mistero dell’esistenza: tre opere su carta, sulle quali lievissime tracce candide giocano con la luce, reale ma soprattutto interiore; oppure si può imprimere alla leggerezza un moto ascensionale, a partire dalla punta delle piccole ziqqurat in cera, e tendere al raggiungimento di una dimensione mistica. Cura, meditazione, tensione: ripiegato su se stesso, il linguaggio di Laib replica come un poema di sussurri e forme elementari, mettendo in scena il rituale della creazione.

(Articolo pubblicato sul Roma, 30 novembre 2016)

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