Archivio / Arte Contemporanea

Un bagno diventa eco del mito

12 agosto 2019

Lello Lopez_ Assioma della Memoria_ 2014_ Stampa e acrilico su tela_ cm220x160_Courtesy Galleria Artiaco

Mente e corpo. È l’estate di Lello Lopez, che trascorrerà la bella stagione tra tuffi e letture di spessore. Del resto, non è che in vacanza si smetta di creare, pensare, progettare. Anzi. Tanto più che, nel caso specifico, i mesi caldi vedono l’artista flegreo presenziare nella “Summer Exhibition” della Shazar Gallery, e –altra collettiva – in “Men, Only men, Simply men” curata da Antonello Tolve all’Accademia di Belle Arti di Macerata. Per trovarlo in pianta stabile, poi, basta andare al Museo Madre, dove l’anno scorso la sua installazione “Companion” è entrata nel progetto “Per_formare una collezione”. Un lavoro, quello di Lopez (rappresentato dalla Galleria Artiaco), di matrice introspettiva e filosofica, rafforzata dalle suggestioni ricavate da incontri e relazioni. Un mondo di acuta sensibilità, in cui anche un semplice bagno di mare può rivestirsi di echi mitici…

Domanda numero uno: cosa vedi davanti a te in questo momento?
Guardo il mare… guardo sempre un mare che è un orizzonte di arrivi, di nostalgie, di ricordi. Abito sul mare, organicamente con lui: seducente, incantevole, gentile; talvolta violento, aggressivo, prepotente.

Viaggi più spesso per lavoro o per svago?
È da un po’ che non viaggio, per mancanza di occasioni ma soprattutto per pigrizia, in costante stasi del “non lo so!”, in un’attesa rassicurante… protettiva.

Rispetto ai “comuni mortali”, cosa aggiunge lo sguardo d’artista ad un viaggio?
Quando accadeva era per lo più per lavoro. Raccoglievo idee, immagini, parole che sedimentavo col ricordo di uno smarrimento sempre diverso, da usare in tale installazione o altra opera come tracce di una decodifica sufficiente a narrare quell’esperienza.

In vacanza, visiti mostre, gallerie, musei?
Se capita visito mostre, ma soprattutto luoghi alla ricerca di suggestioni e stupori. Mi piace osservare la gente in quei contesti, ascoltare la banalità di un dialogo o l’incredulità e ancora la meraviglia dello sguardo rapito o anche infastidito. E incrociare per qualche istante gli occhi delle persone…per gioco, pensando a ipotetiche esistenze che non conoscerò mai.

La tua estate: attività, riposo, tedio?
Un po’ di tutto questo: si lavora a qualche idea, si scrivono progetti, si prepara una spedizione, si riprendono vecchi lavori e se ne realizzano di nuovi. E si telefona! Devo dire che la mattina è spesso occupata dai bagni di mare che amo fare vicino casa: nei pressi della Piscina Mirabilis o della tomba di Agrippina. Non è un caso che frequento questi luoghi. Mi piace pensare al mare solcato dalle feluche, a mani brune e abili che arrotolano reti e funi, a tuniche bianche che passano tra spezie e coralli, ambre, unguenti e venditori di stoffe con fregi in oro e bisso. Utili suggestioni!

Qual è per te l’aspetto più fastidioso della bella stagione?
L’estate è bellissima e il corpo e la mente si rigenerano… se non fosse per quelle maledette zanzare!

Angolo dei ricordi: cosa rammenti delle tue scorse estati?
Se penso ai ricordi, penso lontano. Con nostalgia penso alla giovinezza che passa e a tutto quello che poteva essere e non è stato. Penso a quei momenti, a quegli incontri, agli sguardi dei genitori, a quando avevano l’età che ho adesso, ai luoghi delle prime volte, alle persone, alle voci…

L’estate attraverso i cinque sensi.
L’estate è guardare il sole quando, ad occhi chiusi, si colora di verderame, quando senti l’arrivo del maestrale e a sera mangi frutti di mare crudi con anguria e vino bianco in compagnia di un amico. L’estate è sentire sulla pelle il piacere degli abiti di lino bianco e gli improvvisi profumi dei giardini.

Quale opera o quali opere d’arte associ all’estate?
Nessuna in particolare. In verità mi è difficile associare le opere con una suggestione… mi verrebbe in mente Capri-Batterie di Beuys!

Cosa leggerai in queste settimane?
La lettura come unico, impegnativo, svago! Qualche testo di approfondimento (sempre le stesse pagine!): Derrida, Gadamer, Danto, Esposito, Agamben, a seconda del lavoro che sto per mettere in cantiere. Col desiderio che mi possano soccorrere nella comprensione di una geometria, di una riflessione o di un’introspezione più o meno analitica.

Consigli per sopravvivere al caldo.
Quale miglior consiglio se non quello di fare i bagni di mare al mattino, mettersi nella brezza al pomeriggio e fare colazione in giardino la sera. Potendolo fare! Altrimenti qualche limonata fresca, docce a volontà e vai di ventaglio!

(Articolo pubblcato sul Roma per la rubrica Estate d’artista #1, 11 agosto 2019)

IL COLLEZIONISTA DI SOGNI. GINO D’UGO A PESCARA, IN ATTESA DELLA NUOVA STAGIONE DI FOURTEEN ARTELLARO

15 aprile 2019

Gino D’Ugo, La Pratica Inevasa, Galleria 16 Civico, Pescara

C’è chi le chiama incombenze, propositi, sogni nel cassetto. Rimorsi, addirittura. Sono le cose che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto, quelle che avremmo voluto dire e non abbiamo detto. Gino D’Ugo ha preferito definirle “La Pratica Inevasa”. Un’espressione che, aggiungendo “burocraticamente” una punta d’ironia, lega all’immagine di faldoni e pile di scartoffie quegli intenti e quei confronti (talvolta con noi stessi) rinviati sine die. In fondo, di questioni in sospeso è pieno il mondo, e non necessariamente sono da bollare come fallimenti: è lecito viverle come ipoteche positive sull’avvenire, o speranzose dilazioni del presente.
Sicché un progetto come quello proposto alla Galleria 16 Civico di Pescara non poteva che risultare naturalmente coinvolgente: in molti hanno risposto all’invito, offrendo, di persona o a distanza (e c’è tempo fino al 20 aprile per infoltire i contributi), la propria “pratica inevasa”, reale, sentimentale, fantasiosa o metaforica. Via via, la parete dell’esposizione si è riempita di testi, immagini e oggetti che hanno dato luogo ad una narrazione variegata e vivace, nella quale l’artista si è ritagliato un ruolo di mediatore o, per meglio dire, di attivatore del processo partecipativo, raccogliendo i documenti senza pretesa di analizzarli, lasciando che la condivisione fluisse liberamente, stimolando discussioni e curiosità.
Questo il cuore – tuttora pulsante – della mostra, preceduta da una panoramica sul lavoro di D’Ugo e da un post-it con la scritta “Dimentica”, paradossale capovolgimento sia di un imperativo – quello del memento – caro all’arte e oggi abusato dalla retorica, sia della finalità stessa del progetto, che esortava a tirar fuori qualcosa che era stato messo in lista d’attesa. Subito dopo, però, l’artista riabilita la memoria, riferendola a se stesso e alla sua pratica scultorea, disponendo sotto la luce un cerchio di cenere: simbolo di consumazione, di passaggio tra vita e morte, di purificazione, ma anche elemento misterioso, probabile custode di fuochi non sopiti. Sotto la quale, magari, cova una storia sconosciuta: una pratica inevasa, appunto.
Dopo la tappa abruzzese, l’idea sarebbe quella di estendere il format ad altri contesti, per sondare l’approccio e le reazioni di un pubblico diverso. Quale potrebbe essere, infatti, il feedback di un visitatore torinese, romano o napoletano?
Per il momento, la piccola realtà ha offerto una risposta soddisfacente. Del resto, da quando ha fissato la sua residenza in Liguria, Gino D’Ugo è abituato a misurarsi con quella, che senza offesa, si potrebbe definire “la piccola dimensione” geografica. Provinciale sì, ma non tanto, visto che il suo raggio d’azione è il Golfo dei Poeti, un tempo meta di artisti e scrittori. È qui che nel 2016 ha dato vita, insieme a Guido Ferrari, alla sua “creatura”: Fourteen ArTellaro, white cube all’angolo della deliziosa piazzetta nel borgo sopra Lerici, dove, durante la bella stagione, si sono avvicendati artisti di diversa estrazione e posizione, dal mainstream all’outsider.
Spiriti liberi che hanno aderito con entusiasmo ad una rassegna tutt’altro che “balneare”, che sullo scorcio della primavera esordirà con due appuntamenti “fuori sede”, ovvero l’ex Oratorio in Selàa, affacciato su un panorama mozzafiato. Si parte nell’ultimo week end di aprile con “Monument” di Igor Grubic: cinquanta minuti dedicati ai memoriali antifascisti dell’ex Jugoslavia, parzialmente distrutti durante la tragica guerra degli anni Novanta. Il 18 e il 19 maggio, invece, inaugurerà una rassegna di videoarte, con nomi transitati per ArTellaro: Giovanni Gaggia, Iginio De Luca, Alessandro Brighetti, Sandro Mele, Sonia Andresano, Radio Zero, Elena Bellantoni, Adalberto Abbate, Alice Schivardi, Daniela Spaletra,  Federica Gonnelli, Elena Nonnis, Fabrizio Cicero, Giampaolo Penco (installazione di Alfredo Pirri), Laura Pinta Cazzaniga, Nicoletta Braga, Massimo Mazzone, Fiorella Iacono, Calixto Ramirez Correa, Alain Urrutia, Philipp Gufler, collettivo Democracia, Filippo Berta,  Christian Ciampoli/ Silvia Sbordoni, Simone Cametti, Franco LoSvizzero, Marina Paris, Silvia Giambrone, Luca Monzani, Mauro Folci, Luca Vitone. Dopo la “grande abbuffata”, la mostra proseguirà nello spazio Fourteen, dove le opere, raggruppate in un loop di 5-8 video, ruoteranno per un mese e mezzo circa a cadenza settimanale, visibili attraverso la vetrina su uno schermo da 40 pollici.
Subito dopo, in continuità con l’edizione precedente, riprenderà “La superficie accidentata”. Il calendario è agli ultimi ritocchi, ma tra le presenze dell’estate 2019 sono già annunciate quelle di Elena Bellantoni, Filippo Berta e Riccardo Gemma.

Articolo pubblicato su Artslife, 12 aprile 2019

Perino&Vele, l’orgia della spesa

1 aprile 2019

Perino&Vele_ph Francesco Squeglia

Immaginate un grande centro commerciale in periferia, o all’uscita della circonvallazione: una di quelle catene dei fai-da-te aperte anche la domenica. Pensate a quei bazar h24 in piena città, dove tra neon e zaffate di spezie c’è di tutto, dalla medusa in salamoia al dentrifricio. In poche parole, i classici posti dove entri per comprare un cacciavite ed esci con una lampada, un sacco di terriccio, una scorta di assorbenti e un pizzico d’infelicità in più.
Perché la bulimia degli acquisti non sconfigge il mal di vivere. E tutto questo comprare, comprare, comprare svuota le tasche e l’anima, mentre ci riempie le case di roba inutile.
È l’elementare, tragica constatazione dalla quale muove “HappyBrico”, personale con cui Perino&Vele celebrano un quarto di secolo di sodalizio. In quanto al segreto di un matrimonio così longevo, i diretti interessati rispondono così: «Ci siamo conosciuti tra i banchi di scuola. Eravamo giovani e con un sogno in comune: diventare artisti. Dopo 25 anni siamo ancora insieme, significa che eravamo sicuri delle nostre intenzioni. Ormai artisti lo siamo diventati. Il sogno ora è continuare la nostra carriera insieme per prepararci alle nozze d’oro».
Luogo dei festeggiamenti (inaugurazione oggi alle 12, fino al 4 maggio) non poteva che essere la Galleria Alfonso Artiaco, da sempre loro punto di riferimento e di partenza verso il mondo. Una geografia piuttosto estesa, quella del duo, che si divide fra Rotondi e la Grande Mela: «New York è la nostra seconda casa, per Emiliano la prima, visto che è nato e cresciuto li. La nostra famiglia è in Valle Caudina, dove rientriamo dai viaggi, le mostre, le continue tappe americane. Lo studio a New York è una grande opportunità. Vorremmo dare una risposta poetica, ma la verità è che lì si lavora tanto: è una città che ti assorbe, ma riesce anche a restituirti le forze. In mezzo, riusciamo a creare il nostro mondo, come quest’ultima mostra».
Già, le mostre. In gallerie, musei, fondazioni. E poi eventi internazionali – tra cui, nel 1999, la “mitica” Biennale di Szeemann – e installazioni pubbliche, come quella ormai iconica nella stazione Salvator Rosa, con le Cinquecento coperte da un tessuto trapuntato, studiato fin dagli esordi come propria cifra stilistica. Una forma morbida che evoca sicurezza e comfort, ma che nasconde ironicamente quell’invito a riflettere su questioni scomode che costituisce la sostanza del lavoro di Luca ed Emiliano. Ad esempio “Kubark”, intitolata come il famigerato manuale della Cia: era il 2004 e, nella vecchia galleria di Piazza dei Martiri, accanto al monumentale cammello vi era una rumorosa impastatrice, che schizzava dappertutto poltiglia di carta di giornali. E qui un altro fondamento della scultura di Perino&Vele: la cartapesta. Il loro Happy Brico, si potrebbe dire. Ma, dopo tanto tempo, c’è ancora felicità nel lavorare “manualmente”? «Non abbiamo mai abbandonato il processo di produzione legato alla tecnica del lavoro manuale. Abbiamo tentato degli esperimenti, perché le nuove tecnologie si modificano e avanzano per sostituire la manualità, ma con scarsi risultati: il processo tecnologico non restituisce il calore della mano dell’uomo».
Il nuovo progetto si sviluppa anche sulla superficie piana, con undici disegni e un wall painting ad accompagnare i cinque cavallini a dondolo matelassé “Madeforyou” che, un po’ giocattoli un po’ bestie da soma, portano appiccicati addosso oggetti di vario tipo: flaconi, tubetti, utensili, sex toys, orci.
Inevitabile, in una ricorrenza così importante, lo sguardo “strabico” su passato e futuro. Il ricordo più bello? «Abbiamo attraversato momenti difficili, conosciamo la situazione italiana nell’ambito culturale e ciò ha colpito anche noi, non solo nella produzione, ma anche nelle logiche di ideazione. In questo periodo l’idea di aprire anche uno studio a New York ci ha risollevato e quindi per noi quel momento che ci ha dato speranza è un buon ricordo, la marcia in più per ripartire». Programmi? «Non c’è solo la mostra da Artiaco, ma anche un solo show al prossimo Miart, con la stessa galleria; poi, a novembre, da Alberto Peola a Torino. Aspettiamo che il pubblico si confronti con le nostre produzioni. Dalle prime anticipazioni, sembrano già venir fuori consensi e crediamo che questo sia fondamentale. Il futuro ci attende e siamo pronti a muoverci tra le sue incertezze con la nostra consolidata esperienza di 25 anni»

(Articolo pubblicato sul Roma, 30 aprile 2019).

miao.bhy@mailxu.com