Perino&Vele, l’orgia della spesa

1 aprile 2019

Perino&Vele_ph Francesco Squeglia

Immaginate un grande centro commerciale in periferia, o all’uscita della circonvallazione: una di quelle catene dei fai-da-te aperte anche la domenica. Pensate a quei bazar h24 in piena città, dove tra neon e zaffate di spezie c’è di tutto, dalla medusa in salamoia al dentrifricio. In poche parole, i classici posti dove entri per comprare un cacciavite ed esci con una lampada, un sacco di terriccio, una scorta di assorbenti e un pizzico d’infelicità in più.
Perché la bulimia degli acquisti non sconfigge il mal di vivere. E tutto questo comprare, comprare, comprare svuota le tasche e l’anima, mentre ci riempie le case di roba inutile.
È l’elementare, tragica constatazione dalla quale muove “HappyBrico”, personale con cui Perino&Vele celebrano un quarto di secolo di sodalizio. In quanto al segreto di un matrimonio così longevo, i diretti interessati rispondono così: «Ci siamo conosciuti tra i banchi di scuola. Eravamo giovani e con un sogno in comune: diventare artisti. Dopo 25 anni siamo ancora insieme, significa che eravamo sicuri delle nostre intenzioni. Ormai artisti lo siamo diventati. Il sogno ora è continuare la nostra carriera insieme per prepararci alle nozze d’oro».
Luogo dei festeggiamenti (inaugurazione oggi alle 12, fino al 4 maggio) non poteva che essere la Galleria Alfonso Artiaco, da sempre loro punto di riferimento e di partenza verso il mondo. Una geografia piuttosto estesa, quella del duo, che si divide fra Rotondi e la Grande Mela: «New York è la nostra seconda casa, per Emiliano la prima, visto che è nato e cresciuto li. La nostra famiglia è in Valle Caudina, dove rientriamo dai viaggi, le mostre, le continue tappe americane. Lo studio a New York è una grande opportunità. Vorremmo dare una risposta poetica, ma la verità è che lì si lavora tanto: è una città che ti assorbe, ma riesce anche a restituirti le forze. In mezzo, riusciamo a creare il nostro mondo, come quest’ultima mostra».
Già, le mostre. In gallerie, musei, fondazioni. E poi eventi internazionali – tra cui, nel 1999, la “mitica” Biennale di Szeemann – e installazioni pubbliche, come quella ormai iconica nella stazione Salvator Rosa, con le Cinquecento coperte da un tessuto trapuntato, studiato fin dagli esordi come propria cifra stilistica. Una forma morbida che evoca sicurezza e comfort, ma che nasconde ironicamente quell’invito a riflettere su questioni scomode che costituisce la sostanza del lavoro di Luca ed Emiliano. Ad esempio “Kubark”, intitolata come il famigerato manuale della Cia: era il 2004 e, nella vecchia galleria di Piazza dei Martiri, accanto al monumentale cammello vi era una rumorosa impastatrice, che schizzava dappertutto poltiglia di carta di giornali. E qui un altro fondamento della scultura di Perino&Vele: la cartapesta. Il loro Happy Brico, si potrebbe dire. Ma, dopo tanto tempo, c’è ancora felicità nel lavorare “manualmente”? «Non abbiamo mai abbandonato il processo di produzione legato alla tecnica del lavoro manuale. Abbiamo tentato degli esperimenti, perché le nuove tecnologie si modificano e avanzano per sostituire la manualità, ma con scarsi risultati: il processo tecnologico non restituisce il calore della mano dell’uomo».
Il nuovo progetto si sviluppa anche sulla superficie piana, con undici disegni e un wall painting ad accompagnare i cinque cavallini a dondolo matelassé “Madeforyou” che, un po’ giocattoli un po’ bestie da soma, portano appiccicati addosso oggetti di vario tipo: flaconi, tubetti, utensili, sex toys, orci.
Inevitabile, in una ricorrenza così importante, lo sguardo “strabico” su passato e futuro. Il ricordo più bello? «Abbiamo attraversato momenti difficili, conosciamo la situazione italiana nell’ambito culturale e ciò ha colpito anche noi, non solo nella produzione, ma anche nelle logiche di ideazione. In questo periodo l’idea di aprire anche uno studio a New York ci ha risollevato e quindi per noi quel momento che ci ha dato speranza è un buon ricordo, la marcia in più per ripartire». Programmi? «Non c’è solo la mostra da Artiaco, ma anche un solo show al prossimo Miart, con la stessa galleria; poi, a novembre, da Alberto Peola a Torino. Aspettiamo che il pubblico si confronti con le nostre produzioni. Dalle prime anticipazioni, sembrano già venir fuori consensi e crediamo che questo sia fondamentale. Il futuro ci attende e siamo pronti a muoverci tra le sue incertezze con la nostra consolidata esperienza di 25 anni»

(Articolo pubblicato sul Roma, 30 aprile 2019).

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