IL COLLEZIONISTA DI SOGNI. GINO D’UGO A PESCARA, IN ATTESA DELLA NUOVA STAGIONE DI FOURTEEN ARTELLARO

15 aprile 2019

Gino D’Ugo, La Pratica Inevasa, Galleria 16 Civico, Pescara

C’è chi le chiama incombenze, propositi, sogni nel cassetto. Rimorsi, addirittura. Sono le cose che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto, quelle che avremmo voluto dire e non abbiamo detto. Gino D’Ugo ha preferito definirle “La Pratica Inevasa”. Un’espressione che, aggiungendo “burocraticamente” una punta d’ironia, lega all’immagine di faldoni e pile di scartoffie quegli intenti e quei confronti (talvolta con noi stessi) rinviati sine die. In fondo, di questioni in sospeso è pieno il mondo, e non necessariamente sono da bollare come fallimenti: è lecito viverle come ipoteche positive sull’avvenire, o speranzose dilazioni del presente.
Sicché un progetto come quello proposto alla Galleria 16 Civico di Pescara non poteva che risultare naturalmente coinvolgente: in molti hanno risposto all’invito, offrendo, di persona o a distanza (e c’è tempo fino al 20 aprile per infoltire i contributi), la propria “pratica inevasa”, reale, sentimentale, fantasiosa o metaforica. Via via, la parete dell’esposizione si è riempita di testi, immagini e oggetti che hanno dato luogo ad una narrazione variegata e vivace, nella quale l’artista si è ritagliato un ruolo di mediatore o, per meglio dire, di attivatore del processo partecipativo, raccogliendo i documenti senza pretesa di analizzarli, lasciando che la condivisione fluisse liberamente, stimolando discussioni e curiosità.
Questo il cuore – tuttora pulsante – della mostra, preceduta da una panoramica sul lavoro di D’Ugo e da un post-it con la scritta “Dimentica”, paradossale capovolgimento sia di un imperativo – quello del memento – caro all’arte e oggi abusato dalla retorica, sia della finalità stessa del progetto, che esortava a tirar fuori qualcosa che era stato messo in lista d’attesa. Subito dopo, però, l’artista riabilita la memoria, riferendola a se stesso e alla sua pratica scultorea, disponendo sotto la luce un cerchio di cenere: simbolo di consumazione, di passaggio tra vita e morte, di purificazione, ma anche elemento misterioso, probabile custode di fuochi non sopiti. Sotto la quale, magari, cova una storia sconosciuta: una pratica inevasa, appunto.
Dopo la tappa abruzzese, l’idea sarebbe quella di estendere il format ad altri contesti, per sondare l’approccio e le reazioni di un pubblico diverso. Quale potrebbe essere, infatti, il feedback di un visitatore torinese, romano o napoletano?
Per il momento, la piccola realtà ha offerto una risposta soddisfacente. Del resto, da quando ha fissato la sua residenza in Liguria, Gino D’Ugo è abituato a misurarsi con quella, che senza offesa, si potrebbe definire “la piccola dimensione” geografica. Provinciale sì, ma non tanto, visto che il suo raggio d’azione è il Golfo dei Poeti, un tempo meta di artisti e scrittori. È qui che nel 2016 ha dato vita, insieme a Guido Ferrari, alla sua “creatura”: Fourteen ArTellaro, white cube all’angolo della deliziosa piazzetta nel borgo sopra Lerici, dove, durante la bella stagione, si sono avvicendati artisti di diversa estrazione e posizione, dal mainstream all’outsider.
Spiriti liberi che hanno aderito con entusiasmo ad una rassegna tutt’altro che “balneare”, che sullo scorcio della primavera esordirà con due appuntamenti “fuori sede”, ovvero l’ex Oratorio in Selàa, affacciato su un panorama mozzafiato. Si parte nell’ultimo week end di aprile con “Monument” di Igor Grubic: cinquanta minuti dedicati ai memoriali antifascisti dell’ex Jugoslavia, parzialmente distrutti durante la tragica guerra degli anni Novanta. Il 18 e il 19 maggio, invece, inaugurerà una rassegna di videoarte, con nomi transitati per ArTellaro: Giovanni Gaggia, Iginio De Luca, Alessandro Brighetti, Sandro Mele, Sonia Andresano, Radio Zero, Elena Bellantoni, Adalberto Abbate, Alice Schivardi, Daniela Spaletra,  Federica Gonnelli, Elena Nonnis, Fabrizio Cicero, Giampaolo Penco (installazione di Alfredo Pirri), Laura Pinta Cazzaniga, Nicoletta Braga, Massimo Mazzone, Fiorella Iacono, Calixto Ramirez Correa, Alain Urrutia, Philipp Gufler, collettivo Democracia, Filippo Berta,  Christian Ciampoli/ Silvia Sbordoni, Simone Cametti, Franco LoSvizzero, Marina Paris, Silvia Giambrone, Luca Monzani, Mauro Folci, Luca Vitone. Dopo la “grande abbuffata”, la mostra proseguirà nello spazio Fourteen, dove le opere, raggruppate in un loop di 5-8 video, ruoteranno per un mese e mezzo circa a cadenza settimanale, visibili attraverso la vetrina su uno schermo da 40 pollici.
Subito dopo, in continuità con l’edizione precedente, riprenderà “La superficie accidentata”. Il calendario è agli ultimi ritocchi, ma tra le presenze dell’estate 2019 sono già annunciate quelle di Elena Bellantoni, Filippo Berta e Riccardo Gemma.

Articolo pubblicato su Artslife, 12 aprile 2019

Le intoccabili

4 ottobre 2012

Angela Barretta_IBM_2012_live performance inedita_Sound Gianni Rizzo_ Courtesy l’artista e Di.st.urb._ Ph. Teresa Capasso

 

Leggi il titolo e, automaticamente, nella mente affiora l’immagine di un dipinto antico. Dove Gesù si ritrae, mentre la Maddalena tenta di sfiorarlo. Noli me tange.re parte invece da un rovesciamento di ruoli, in cui è la donna a proteggere il proprio corpo, a negarlo, a rivendicarne il possesso e la gestione (anche estrema). Il progetto della mostra è di Raffaella Barbato, curatrice di  Di.st.urb. (Distretto di studi e relazioni urbane/in tempo di crisi), costola del circolo Arci “Ferro 3” di Scafati, laboratorio dedicato ai linguaggi contemporanei e nato, con l’obiettivo di creare una rete pluridisciplinare, da un’idea di Ciro Vitale. Tra i promotori della prima ora (oltre alla Barbato e a Vitale) Franco Cipriano, Pier Paolo Patti e Stefano Taccone, cui si sono aggiunti di recente Mario Paolucci, Carla Rossetti, Ilaria Tamburro e Silvia Vicinanza. Della nuova esposizione parliamo con la curatrice, partendo proprio dall’associazione tra il tema della mostra e l’iconografia tradizionale.
Più di una persona ha fatto riferimento a questa associazione. Benché Noli me tange.re echeggi capolavori dell’arte moderna italiana da Tiziano a Correggio, ho scelto questo titolo non per l’assonanza visiva, ma per la complessa simbologia associata alla locuzione latina – riportata in un passo del Vangelo di Giovanni – e per una serie di suggestioni e riflessioni personali. Letta come esortazione o esclamazione/affermazione è da considerarsi come la manifestazione di un “gesto” (verbale) di rifiuto/ribellione. Un’espressione in cui sento racchiusa una profonda dialettica: l’affermazione e al contempo la negazione di uno status di “crisi” individuale e sociale. Nella psicoanalisi, inoltre, “noli me tangere” identifica chiaramente il tabù del contatto, “quella diffusa condizione, di ripulsa al contatto fisico e interpersonale che spesso si traduce in un divieto morale”. (altro…)

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