I napoletani della Biennale

13 maggio 2017

Ma quando inizia la Biennale? Per i comuni mortali, i cancelli aprono oggi. Per gli addetti ai lavori, invece, la vernice si è espansa in giorni e giorni di tagli del nastro, conferenze stampa e feste, trottando a caccia del miglior padiglione, dell’intervista, del retroscena. Il tutto, anticipato di un mese rispetto a quella che era la tradizionale inaugurazione di giugno: esprimento realizzato nel 2015 in occasione di Expo e ripetuto quest’anno, sperando forse di eguagliare la quota di 500mila presenze toccata dalla scorsa edizione. “Viva arte viva” è il tema scelto dalla curatrice Christine Macel, la quale, proponendosi di restituire centralità agli artisti, ha sviluppato il proprio progetto in nove capitoli, “sfogliando” i quali spiccano due nomi legati alla Galleria Alfonso Artiaco: gli albanesi Edi Rama ed Anri Sala. Il secondo, già star del Padiglione francese nel 2013, è di casa a Napoli dal 2004, mentre Edi Rama – che della repubblica con l’aquila a due teste è anche premier – aveva esordito lo scorso anno in piazzetta Nilo con una vivace tappezzeria di schizzi e appunti. Tra le altre segnalazioni delle gallerie partenopee, non può mancare Lia Rumma: il suo Giovanni Anselmo è stato scelto da Chiara Bertola per la personale “Senza titolo, invisibile, dove le stelle si avvicinano di una spanna in più, mentre oltremare appare verso Sud-Est, e la luce focalizza…” alla Fondazione Querini Stampalia; Marzia Migliora tra gli splendori di Ca’ Rezzonico riflette allarmata sul degrado delle “velme”, porzioni di fondale lagunare poco profondo, che emergono in occasione delle basse maree. Dilaga Joseph Kosuth: con “Personal structures” a Palazzo Bembo, un’installazione alla Ca’ Foscari e nella “Collection” dell’hotel Metropole. Asso pigliatutto è pure Marina Abramovic, che si sistema anche lei a Palazzo Bembo e, insieme a Renato Leotta, in forze alla Galleria Fonti, entra nella pattuglia di “Intuition” al Fortuny, dove, secondo una formula rodata da una decina d’anni, manufatti del passato dialogano con opere contemporanee. Dulcis in fundo, un Padiglione Italia che, dopo le (più o meno) grandi abbuffate degli anni scorsi, quest’anno nella visione di Cecilia Alemani – la quale, tra parentesi, ha mutato il titolo “Il mondo magico” dall’antropologo partenopeo Ernesto De Martino – si è compattato intorno a tre nomi: Giorgio Andreotta Calò, Adelita Husni-Bey e Roberto Cuoghi. È soprattutto quest’ultimo, applaudito in Laguna per un lavoro ispirato all’Imitatio Christi, ad entrare honoris causa nella cerchia dei “napoletani”, avendo scelto la città per la tappa italiana della sua retrospettiva “Perla pollina”. Appuntamento al Madre, il 27 maggio…

(Articolo pubblicato sul Roma, 13 maggio 2017)

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