In giro fra riti e tradizioni

17 ottobre 2016

copertina andar per festeFesta, farina e… flash. È un agevole excursus tra le tradizioni campane il libro che Concetta Celotto ha stilato per le Edizioni Intramoenia. Dopo “O Vascio. Breve storia dei bassi napoletani”, a quattro mani con il fotografo Sergio Siano, l’autrice invita ad “Andar per feste”, immergendosi in un folklore in bilico tra fede cristiana e retaggio pagano. Aiutato da una scrittura evocativa e da un ricco apparato iconografico, il lettore si ritrova catapultato in mezzo alla folla, stordito dai profumi di zucchero filato e nocciole, tra petardi, fanfare e coperte di seta alle finestre, pur intravedendo, oltre lo sfarzo delle luminarie e la solennità dei riti, il rovescio della medaglia. Semel in anno licet insanire, dicevano i latini, ma dietro il vestito buono, i gioielli e la gozzoviglia di un giorno incombe la solita miseria: così per Piedigrotta, oppure per il pellegrinaggio a Montevergine, tanto importante da essere inserito, in passato, nei contratti nuziali. Altari, carri, costumi d’epoca: lunga e dispendiosa è la preparazione dell’evento, sia sacro che profano, dai Misteri della Settimana Santa al Palio dell’Anguria, fino alla prosaica “festa dei cornuti” di Ruviano. Il dato comune, nelle cinque province della regione, è l’intreccio tra devozione cristiana, culti agresti e religione greco-romana, in un calderone così ribollente da rendere talvolta necessario l’intervento censorio delle autorità ecclesiastiche. Manifestazioni di fede che, esasperando la teatralità di un certo cattolicesimo, degenerano in performance di “isteria collettiva” e “patologico esibizionismo”, come percorrere strasciconi o leccare il pavimento di un santuario, costringersi ad espiazioni cruente tramite flagelli o sugheri irti di spilli, oppure ostentare una – perfino oltraggiosa – confidenza nei confronti del Santo (le “parenti” di San Gennaro), testimoni di un rapporto privato e viscerale con la divinità. E in Campania, più che altrove, Dio è donna, a giudicare dall’abbondanza di feste dedicate a Madonne brune e pacchiane, per le quali frullano le ali delle galline e battono le tammorre; “Mamme Schiavone” che tra le proprie braccia accolgono tutti, femmenielli compresi. Dall’altra parte, s’impenna il mascolino: gli obelischi intessuti di spighe o i Gigli, la cui punta accarezza il cielo mentre robusti portatori li “cullano” con ardite manovre. Le macchine da festa ondeggiano, sbandano, e qualche volta rovinano sulle carte bollate: Celotto infatti non tace la ribalta cui alcune processioni sono salite per colpa dei famigerati “inchini” ai boss malavitosi. L’altra rifllessione, ricorrente, riguarda la necessità di preservare il carattere genuino di tali appuntamenti, che rischiano di diventare triti spettacoli ad uso e consumo dei turisti: è da questi, infatti, che ormai ci si aspetta il vero miracolo… magari senza tanti fuochi d’artificio, e decisamente più terreno.

(Articolo pubblicato sul Roma, 10 ottobre 2016)

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