Il più grande artista del mondo

7 febbraio 2015
Brigataes_ Il più grande artista del mondo_ immagine dal set_ 2014_.ph.Biagio Ippolito

Brigataes_ Il più grande artista del mondo_ immagine dal set_ 2014_.ph.Biagio Ippolito

Fake. Cioè finto, contraffatto, alterato. Il neologismo internettiano (quante “bufale” o personaggi inesistenti circolano in rete?) è recente, ma il problema del falso, del vero e del verosimile è da sempre il nocciolo dell’arte. Che, secondo Platone, era mimesis, imitazione. E con filosofia la prende anche Brigataes, collettivo napoletano attualmente rappresentato da Aldo Elefante, che mescola Baudrillad, Joyce, gli sceneggiati tv, la land art e molti altri riferimenti per lanciare il “Il più grande artista del mondo”, fino al 9 marzo al Museo Archeologico Nazionale. Secondo le indicazioni, il progetto (coordinato da Marco De Gemmis) nasce dal fortuito ritrovamento di un faldone relativo ad una mostra mai realizzata: nel 1939, la guerra interruppe infatti l’esposizione di enormi resti scheletrici rinvenuti nel 1938 da Amedeo Maiuri e dal paleontologo Ralph von Koenigswald sull’acropoli di Cuma. Accanto alle gigantesche ossa, sarebbero emerse tracce di pittura rupestre su una lastra di pietra, attribuite così alla mano del “più grande artista del mondo”. Fin qui la versione ufficiale.
Ma possiamo star certi che la mostra racconti effettivamente questo? Non sveliamo l’arcano. Innanzitutto perché occorre verificare di persona, e scegliere la propria versione dei fatti. Poi perché una risposta non c’è. Esistono indizi: libri, documenti, reperti e soprattutto una specie di seppiato film Luce “restaurato” che celebra l’impresa flegrea. Ci sono i testi di Francesco Poli, Antonello Tolve e Angelo Trimarco in catalogo, ma sarebbe meglio leggerli dopo.
È chiaro che per Brigataes contano più le domande: chi decide che cosa è o non è arte? Chi eleva un’opera o un reperto alle auguste pareti e alle sacre teche? L’arte-zombie ormai non può che sopravvivere a se stessa, dormicchiando negli archivi (quanti, anche giovani, sono attualmente affezionati a questa pratica installativa?) o cercando legittimazione nei musei “cimiteri” e “dormitori pubblici”, per dirla alla Marinetti. I suoi arditi becchini, i suoi blasonati imbalsamatori, ostentano rigore scientifico e patenti di autorità, ma non riescono a sottrarsi all’esibizionismo narcisistico, alla vertigine del demiurgo. Sono dunque officianti attendibili?
Del resto, non è che gli artisti stiano messi meglio. E se l’ignoto pittore di quarantamila anni fa viene celebrato come “il più grande”, ciò si deve esclusivamente alle gigantesche dimensioni delle sue ossa. Un po’ come accade oggi, in questa specie di circo dove si fa a gara a chi occupa più spazi o la “spara” più grossa, a dispetto delle idee e della qualità. Cosa resta, dunque, dell’arte? Se viene naturale, iconograficamente, il riferimento-omaggio alla Calamita cosmica di Gino De Dominicis (e alla sua provocazione ironica e acuta), l’operazione estetica di Brigataes si trasforma, metaforicamente, in un intervento chirurgico che, anziché concentrare energia, la disperde: dalla morta spoglia si può ricavare, al massimo, una manciata di astragali. Invitato sul luogo del delitto, lo spettatore lancia i dadi. E chissà che l’arte stessa non risponda, pirandellianamente: “Io sono colei che mi si crede”

(Articolo pubblicato sul Roma, 7 febbraio 2015)

Brigataes_ Il più grande artista del mondo_ Napoli. Museo Archeologico Nazionale
(6 febbraio – 9 marzo 2015)

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