Andrea Aquilanti – L’angolo dei giochi

15 aprile 2004

Napoli, Not gallery

Territori della videoarte pura battuti da Andrea Aquilanti. Tra il ronzio del proiettore e la melodia del carillon, la scultura chiamata a rappresentare il disegno. Grazie ad un singolare trattamento. Anzi mal-trattamento…

Psst… fate piano, perché da qualche parte, in quest’aria d’ovatta, c’è un pupattolo che dorme, deliziato dal carillon. Nell’angolo della cameretta, la premurosa mammina gli ha ordinato i giocattoli, prima di rimboccargli le coperte e dargli il bacino delle buonanotte. Tranquilli, non è alla pubblicità della camomilla

o delle culle che Andrea Aquilanti (Roma, 1960) pensava quando ha sistemato L’angolo dei giochi. E’ pur vero però, che piuttosto che invocare un complesso di Peter Pan, il casus ludi qui è dichiaratamente autobiografico, un po’ per sopraggiunte responsabilità biologico-anagrafiche, un po’ per una questione di continuità. Per questa seconda apparizione partenopea –il debutto fu all’Anteprima della Quadriennale– l’artista ha infatti deciso di proseguire la sua ricerca sul campo del disegno figurativo realistico, orientandola in senso decisamente de-costruttivo nel territorio della videoarte stricto sensu.

Un processo portato quasi al limite del paradosso, poiché traslato dal piano su un medium che, nonostante la sospensione in una dimensione onirica, non deroga all’idea di tangibilità e concretezza comunemente ascritta all’oggetto tridimensionale. Tamburini, pelouche, bambolotti, trenini et similia: balocchi un po’ sorpassati, forse, ma così radicati nell’immaginario da diventare quasi archetipi metatemporali di un’infanzia universale, ammonticchiati in un cantuccio della galleria.

Così il titolo della mostra è bell’e spiegato, il problema di comunicazione risolto. Si capisce perché si vede. Salvo accorgersi presto che qualcosa non quadra: contorni fluttuanti, tinte che sbavano… Non tutto è esattamente dove ti aspetteresti che fosse. Per non parlare dell’orologio sulla parete, che scandisce al galoppo imbizzarrito il non-tempo della memoria. Ma cosa è stato? È successo che un mago cattivo (Aquilanti) si è intrufolato in questo paese delle meraviglie velato dalla polvere dei sogni e ha succhiato il colore ai giocattoli. E questi adesso se ne starebbero lì, tristi, pallidi e ritti come statuine di gesso, se la buona fatina (ancora Aquilanti) non provvedesse di nuovo a “spennellarli” con la riserva d’arcobaleno previdentemente incamerata. La sua bacchetta magica? Il proiettore, naturalmente, che ronza dal capo opposto della stanza. E allora si capisce come il vero trastullo sia riservato allo spettatore che, passando e spassando (sela) davanti all’occhio magico, deve riassemblare nella cocuzza il come-si-fa del disegno perduto, palleggiandosi tra l’angolo dei giochi e l’angolo del gioco.

anita pepe

mostra visitata il 12 marzo 2004

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Commenti

  1. manu ha detto:

    :-*….

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