Il tiro al Trione

12 novembre 2014

vincenzo_trioneVincenzo Trione: chi era costui? Qualcuno se l’è chiesto, dopo che la notizia della nomina del professore e giornalista (nato a Sarno nel 1972) a curatore del Padiglione Italia alla 56a Biennale di Venezia è scoppiata tra i corridoi di Artissima, a Torino. Iniziamo subito col dire che il prescelto non è proprio un neofita: inutile riportare il suo profilo, ormai ampiamente passato allo scanner, e già noto ai lettori e agli addetti ai lavori campani per i suoi incarichi accademici, i contributi sul “Mattino” e sul “Corriere” e l’attuale ruolo di coordinatore generale del Dipartimento di ricerca del Madre, museo che si è affrettato a congratularsi, digerendo con eleganza l’esclusione del direttore Andrea Viliani, pure dato tra i papabili. Non è quindi azzardato supporre che, in un impeto di campanilismo, qualcuno avrà addirittura sperato di vedere la nostra regione maggiormente premiata rispetto alle scorse edizioni. Edizioni che, a conti fatti, non sono ancora riuscite ad esprimere un progetto forte e paradigmatico della scena artistica nazionale, proponendo, dopo il dittico Penone-Vezzoli del 2007, ben tre collettive. Si dirà: lo spazio è troppo grande. Ma l’obiettivo di un evento culturale è riempire metri cubi? D’altra parte, però, fatti salvi gli eccessi del rassemblement sgarbiano del 2011, e il timore di offendere amici e amichetti, non è che sotto sotto la mostra di gruppo è la sola in grado di rappresentare un paese dove “gli italiani” non si sono ancora “fatti”? Ad ogni buon conto, dopo l’annuncio ufficiale ecco sollevarsi sciami di previsioni e polemiche. Soprattutto queste ultime. Il metodo non funziona: troppa politica in queste nomine. Ma quanti sono i direttori di museo investiti – non selezionati – con simili strategie? A proposito: Trione-non-dirige-un-museo sarebbe l’altro “peccato originale”. Che, vista anche la considerazione precedente, nonché gli insuccessi (per)formativi delle istituzioni nostrane, come argomento è piuttosto fragile. Ancora: Trione non è un curatore. Cioè non fa di mestiere un mestiere che non s’è ancora ben capito in che cosa consista. È un docente. E se fosse una risorsa? Insomma, ogni obiezione può essere accolta o respinta. Come se il problema dell’arte contemporanea, in Italia, fosse solo il Padiglione e non la moltiplicazione delle fiere, il deficit didattico, gli artisti ai piedi di Pilato, i gattopardi stizzati, i Bel Ami risaliti, i curatori snob, i galleristi intrallazzoni, la critica marchettara e provinciale, le gallerie vuote o chiuse, i musei impoveriti e disertati. In quanto al pubblico, visto il trend positivo degli ultimi anni, chissà se i registratori di cassa andranno in tilt nel 2015, giovandosi la Biennale del traino di un’Expo a due ore e mezza di treno. Una cosa è certa: anche quella di Trione sarà una collettiva, focalizzata sul “Codice Italia”. E se, come maliziosamente insinua la vox populi digitale, i giochi sono già fatti, mettiamo sul panno verde laguna del totonomi la fiche Gian Maria Tosatti, raggiunto quest’anno da una pioggia di premi e nomination dovuti in parte alla ricerca condotta a Napoli, tra la Fondazione Morra e Castel Sant’Elmo. In attesa della rosa di maggio (la Biennale quest’anno aprirà i battenti con un mese di anticipo rispetto al solito), non resta che stare alla finestra. Magari vedremo uno spicchio di Golfo in più.

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