Ingiustizia e libertà

10 maggio 2013
Wolf Vostell_ Bombardieri di rossetti_ 1968_ Collage_ 90 x 125 cm. Collezione Peter Raue© Wolf Vostell by SIAE 201. Ph. Franziska Vu

Wolf Vostell_ Bombardieri di rossetti_ 1968_ Collage_ 90 x 125 cm. Collezione Peter Raue© Wolf Vostell by SIAE 201. Ph. Franziska Vu

 

Una striscia scura taglia di netto il campo di Auschwitz-Birkenau. Tra un po’, la natura prenderà il sopravvento, cancellando le geometrie dell’orrore: quel disegno ortogonale specchio di una “ragione” che, anziché illuminare, getta nel buio le coscienze. E che, di fronte al tribunale di se stessa – espressione kantiana usata per una delle dodici sezioni della mostra -, spesso si autoassolve da ogni nefandezza compiuta nel proprio nome.
Percorso ampio, quello di Palazzo Reale (esso stesso, nelle sue travagliate vicende edilizie, espressione di assolutismo illuminato o di conquista mascherata da liberazione), che partendo da lontano e oscillando tra rigore ed eccesso rappresenta il fragile bifrontismo dell’ideale che più di tutti si lega all’idea del sacrificio, con un’ampia gamma di soluzioni che vanno dal titanismo all’eccidio. Un’arma a doppio taglio, come la lama che travolse il “terrorista” Robespierre, o trafisse per mano di Charlotte Corday l’ami du peuple. Je vous salue Marat, recita giustappunto il neon da bar in tricolore francese di Ian Hamilton Finlay, parafrasando l’Ave Maria in un ironico martirologio rivoluzionario: bella differenza rispetto alla vasca di David!
Da un bagno di sangue all’altro, vittime immolate sull’ara della dea Ragione, più o meno inconsapevole vessillifera di deliranti progetti di Ordine. La strada del team guidato da Oskar Hansen, prima citata, ricordando l’irrealizzato e radicale “antimemoriale” del 1958 – nient’altro che un nastro d’asfalto nel luogo dello sterminio – conduce, qualche sala più in là, ai volti degli alunni del liceo ebraico viennese Chases nel 1931 (deportati? Sopravvissuti?), ingranditi e negati nella propria identità dalla lampada inquisitoria posta da Boltanski davanti ai loro volti; e, ancora, alle Occupazioni di Anselm Kiefer che nel 1969, salutando a braccio teso nelle foto per il suo diploma all’Accademia di Karlsrhue, rompeva il tabù della responsabilità collettive con cui i suoi connazionali stentavano ancora a fare i conti.
Sul fronte orientale, l’excursus dentro il socialismo reale potrebbe partire da Wojciech Fangor, che accosta in modo irriverente una rude coppia proletaria ad una signora mondana (sarà la stessa della “rivoluzione da salotto” nell’Interno americano di Errò?), per approdare al pacchiano – e non troppo originale – mix Falce, Martello e Coca Coca di Milan Kunc. In mezzo, e oltre, la lettiga/”trincea portatile” che Tamàs St. Auby ideò nel 1968, anno della primavera di Praga, le speranze deluse dell’Albania nell’Abito da sposa di Edi Hila, la performance del Cane impazzito Oleg Kulik che denuncia l’arrivismo senza scrupoli nella Russia postsovietica, il macabro servizio di piatti decorato da Nikita Kadan con le torture ancora oggi praticate in Ucraina (un “manuale Kubark” che, tanto per rimanere all’ombra della Madonnina, farebbe rivoltare nella tomba Pietro Verri con le sue Osservazioni).
In nome del progresso, libertà si confonde con liberismo. Produci, consuma, crepa. Anzi, meglio consumare che (far) crepare: quindi, perché – suggerisce machiavellicamente Wolf Vostell – non piegare il Vietnam con i rossetti anziché con le bombe? Ma il capitalismo è un mostro acefalo che legge solo nel proprio libro (l’Adam Smith di Yinka Shonibara, vestito di elegante batik davanti alla propria libreria, sta ancora aspettando la famosa mano invisibile che tutto aggiusta), un sistema liberticida che Dan Perjovschi graffia con una grafica semplice e deliziosa. Eppure com’è dolce naufragare nel mare dei 99 cent di Andreas Gursky, grandioso “paesaggio” di un supermercato dove le persone – alias i consumatori – vengono letteralmente risucchiate dagli scaffali traboccanti, banalizzando le ultime parole dell’Ulyxes di Joyce: “sì dissi sì voglio Sì”. Il troppo e il vano ci consumano al punto da annientare l’individuo dietro la pletora delle facce di Erwin Wurm, o ridurci come i protagonisti del frenetico Reality in scatola del Blue noses group, impegnati in atti elementari come mangiare defecare e copulare come criceti, catena di montaggio dove la voce è ridicolo squittio.
La parola è invece l’ombelico del video di Nil Yalter, dove la donna senza volto e senza voce affida la sua protesta spiraliforme contro la società patriarcale agli statements tracciati sul ventre che ruota nella danza tradizionale. Ampio è, nell’esposizione, lo spazio dedicato alle problematiche di genere, che investe l’Occidente denunciando la mercificazione del corpo femminile (Valie Export) o l’imbrigliamento della donna in cliché prefissati, dalle borse di boutique di Sylvie Fleury ai guanti inutili ma belli di Aurora Reinhard, Fiori velenosi in omaggio al gentil sesso, per ricordargli la sua doppia natura di santa e puttana.
Esisterà una via d’uscita? Ci si può rifugiare sotto uno degli igloo di Merz, proiettarsi nell’altro luogo dell’arte, oltre i “tagli” di Fontana e dentro i bianchi di Opalka, oppure cercare la scintilla dell’infinito dentro di sé, come il Buddha di Nam June Paik illuminato dal dharma catodico. Quasi l’ultima, autentica, libertà risiedesse nell’affermazione di un “nuovo umanesimo”. O, dipende dai punti di vista, in un individualismo estremo.

 Raul Meel_ Dieci fogli dalla serie "Sotto il cielo estone"_ 1973. Tallinn, Raul Meel© Dan Perjovschi, Courtesy Gallerija Gregor Podnar, Berlino Mario Merz_Oggetto Cache-Toi_1968_ Ferro, rete metallica, truciolato, lino, tubi di luce fluorescente_h 110 cm, Dm 210 cm. Wolfsburg, Kunstmuseum© Mario Merz, by SIAE 2013. Fondazione Merz, Torino. Ph. Helge Mundt Ilya Kabakov_ Dalla serie Quattro colonne, Amore 19 agosto 1983_ Lacca smaltata, olio, fotografie, carta su tavola di compensato_ 150 x 217 cm. New York, Emilia and IIya Kabakov© Ilya Kabakov by SIAE 2013

Ian Hamilton Finlay_ Ave, Marat_ Tubi al neon, plexiglas_ 46 x 61 x 9 cm. Berlino, Kewenig Galerie © Jan Hamilton, by SIAE 2013, Estate of Jan Hamilton Finlay, Courtesy Kewenig Galerie, Berlino. Ph Simon Vogel, Colonia Gerhard Richter_ Helga Matura col fidanzato_ 1966_Olio su tela_205,3 x 105 cm. Düsseldorf, Stiftung Museum Kunstpalast© Gerhard Richter 2013 Christo_Bidoni imballati_1958:1959_Stoffa, vernice, filo d’acciaio, 18 bidoni_ h 279 cm. New York, Christo© Christo 1958. Ph Wolfgang Volz

Aurora Reinhard_Fiori_2006_Lycra, plastica, smalto per unghie_4 x 75 x 25 cm. Vittoria, Collezione privata© Aurora Reinhard by SIAE 2013 : Courtesey Aurora Reinhard and Extraspazio, Roma Minolta DSC

The desire for freedom_ a cura di Monika Flacke, Henry Meyric Hughes e Ulrike Schmiegelt_ Milano, Palazzo Reale
(14 marzo – 2 giugno 2013)

http://www.desireforfreedom.it/

 

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