Buon riposo

13 giugno 2011

Oggi mi sono macchiata di un sacrilegio. Anzi, ho sgranato un rosario di sacrilegi da rogo. Ho cucinato la parmigiana di melanzane.

Trasgressioni commesse: 1. non ho fritto le melanzane, né una né due volte (a mia parziale discolpa adduco che non le ho grigliate, ma ammosciate in forno, placca rigorosamente non unta); 2. ho messo le mozzarelline del supermercato, anziché la bufala dop o addirittura la provola (a mia parziale discolpa adduco che da queste parti la provola è più rara del caviale); 3. ho messo il pecorino romano anziché il parmigiano (a mia parziale discolpa aggiungo che ho dato serata libera ad alcuni enzimi); 4. ho messo il prosciutto cotto; 5. ho messo il basilico surgelato (dell’orto, ma sempre surgelato era); 6. è lunedì.

Quale dei peccati sia più grave non so.

Però mentre vigilavo sul forno mi sono venute in mente due cose.

Una è che pochi profumi sono infidi come quello della parmigiana: basta un attimo, una goccia d’olio cattivo, ed eccolo trasformarsi in una guaina oleosa che si appiccica a tutti gli stipetti della cucina (e dopo hai voglia di strofinare!).

L’altra è che la parmigiana deve riposare. Molti piatti, nella cucina napoletana, devono riposare. Per alcuni è d’obbligo, per altri una miglioria. La pasta e fagioli? Deve riposare. La pasta e patate? Deve riposare. Il gateau? Deve riposare. Il sartù? Deve riposare. Verza e riso? Se riposa è meglio. La pastiera? Guai a non lasciarla riposare, guai. Almeno una notte, almeno una giornata, più sta e meglio è.

Strano, nella patria del caffè con le 3 c, del frjenno magnanno, della pizza a portafoglio, dello spaghetto sciué sciué. Una contraddizione, un’altra.

Riposare. Non la semplice attesa del lievito, o della temperatura clemente. Riposare è un fatto sentimentale. Lasciare che i sapori si conoscano, si assestino nel nuovo stato, trovino nuove forme di convivenza.

Scivolino lentamente gli uni negli altri, chimica sensuale.

Riposare spesso chiede una pazienza in più: quella di chi sta per mettersi a tavola, ha il piatto davanti e l’appetito in gola, ma deve aspettare ancora un poco. Sarà premiato.

Riposare è consolazione di una cucina povera, in cui non si butta via niente, anzi il giorno appresso è ancora più buono (i maccheroni della domenica ripassati in padella il lunedì).

Riposare. Sa di morbidezza e tepore, una carezza di lana sulle guance. Fai riposare, riposati pure tu.

Sii grato sulla lingua, e sotto le palpebre.

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