FACE TO FACE

18 ottobre 2009

Indagini di un cane. Da un racconto di Kafka, il titolo della mostra itinerante che segna il debutto di Face, progetto che riunisce cinque fondazioni europee. A fare gli onori di casa in Italia, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo. Che a “Exibart” presenta l’evento e chiosa con qualche nota tutt’altro che al margine…

Chi ha selezionato le opere in mostra e in base a quali criteri? Le opere in mostra sono state selezionate dai curatori delle cinque fondazioni sulla base della pertinenza al tema della mostra, attraverso un dialogo costante e una collaborazione strettissima, che hanno permesso loro di condividere tutte le scelte espositive.

Qualche anticipazione sulle prossime iniziative di Face… Innanzitutto, Indagini di un cane non si limiterà a viaggiare nelle cinque sedi delle fondazioni partner: diverse realtà museali europee hanno già mostrato interesse ad accogliere la mostra, come la Kunsthalle di Bonn. Accanto all’attività espositiva, Face intende poi orientarsi verso la commissione e la produzione di opere di giovani artisti e redigere pubblicazioni e cataloghi di arte contemporanea.

In futuro pensate di estendere la membership? Quali altre fondazioni italiane vedrebbe bene in Face? Face è un progetto aperto alla partecipazione di nuovi partner: tutte le fondazioni italiane ed europee che, come noi, abbiano una collezione, uno spazio espositivo e soprattutto la missione di avvicinare all’arte contemporanea un pubblico sempre più ampio potranno farne parte.

Quello della fondazione è un assetto giuridico ormai sempre più diffuso. Secondo lei perché? Tentativo di superare il fallimento del settore pubblico, autentica voglia di impegnarsi in prima persona o escamotage burocratico? Una fondazione come la mia nasce innanzitutto dalla voglia autentica di impegnarsi in prima persona a favore dell’arte e della cultura. Dal punto di vista fiscale, infatti, una fondazione non garantisce alcuna agevolazione particolare né al suo fondatore né, come dicevo, a chi intenda darle un contributo economico, e viene considerata alla stregua di una qualunque attività commerciale, senza alcuna speciale facilitazione amministrativa. L’unico vantaggio burocratico di una fondazione è quello di essere un soggetto privato, che può quindi agire con maggiore snellezza nel prendere decisioni rispetto a un ente pubblico.

All’inizio dell’autunno, in un articolo su “la Repubblica”, lei si è detta pronta ad accettare “gli inviti” ricevuti “da altre città, anche dagli stessi assessori alla cultura”. Una dichiarazione dettata da cosa? E quali sono le “altre città” cui faceva riferimento? La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è fortemente legata al territorio torinese e piemontese e non ha alcuna intenzione di trasferirsi. Abbiamo appena terminato la programmazione espositiva del prossimo anno e stiamo già lavorando per il 2011. Certo, continueremo a collaborare con istituzioni italiane ed europee per la realizzazione di mostre in altre città, come abbiamo fatto in passato con il Principato di Monaco, il museo Benaki di Atene e il comune di Aosta, come attualmente stiamo facendo con Palazzo Ducale di Genova e con gli assessorati di Milano e Roma per prossime future collaborazioni. Ma la nostra sede continuerà ad essere a Torino.

Però diciamolo: Torino capitale dell’arte contemporanea è un poco tramontata… Assolutamente no. La città ha ancora molte potenzialità da questo punto di vista. Basta dare un’occhiata al programma di Contemporary Arts Torino Piemonte, che riunisce tutti gli appuntamenti dell’autunno legati all’arte e alla cultura contemporanea (dagli eventi nei musei ad Artissima, alle aperture straordinarie delle gallerie, agli appuntamenti che coinvolgono l’Accademia e i collezionisti), per rendersi conto che Torino è destinata a restare un’eccellenza in questo campo.

Il titolo “kafkiano” della mostra inaugurale porta ineludibilmente una domanda sul potere. Sulla scena attuale del Belpaese, il “culturame” può ancora avere un ruolo sociale e politico nel senso alto del termine? Ho sempre creduto, e continuo a pensare, che la cultura sia un valore imprescindibile per lo sviluppo sociale del nostro Paese. L’arte contemporanea, in particolare, va considerata come un vero e proprio veicolo di formazione e apertura intellettuale per tutti noi: lo sguardo

Da quali esigenze e con quali obiettivi, pur

operando i suoi componenti in realtà geograficamente distanti, è nato Face? Face è nato con l’obiettivo di creare un sistema europeo di fondazioni che collaborino nel sostenere l’arte contemporanea. Le cinque partner del progetto (la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Ellipse Foundation di Cascais, la Deste Foundation di Atene, la Maison Rouge di Parigi e Magasin 3 di Stoccolma) hanno in comune il desiderio di sostenere i giovani artisti e di far conoscere il loro lavoro a un pubblico sempre più ampio. In questo senso, la lontananza geografica delle rispettive sedi, il diverso contesto culturale in cui ciascuna fondazione opera e la possibilità di condividere progetti culturali concreti, come avviene con la prima mostra Indagini di un cane, costituisce senz’altro un elemento di ricchezza per Face.

Il confronto con le realtà estere quali difetti e quali pregi del sistema italiano mette in rilievo? Dal punto di vista normativo, le fondazioni culturali italiane non godono di un regime particolarmente favorevole. Il confronto con le altre realtà europee evidenzia, ad esempio, la necessità di migliorare il regime italiano della detraibilità fiscale delle donazioni: in Italia, infatti, il fisco non è particolarmente generoso nei confronti delle persone fisiche che danno contributi a enti culturali come una fondazione, permettendo di detrarre solo il 19% dell’importo della donazione stessa dall’imposta lorda sul reddito. Un cambiamento normativo di questo regime aiuterebbe le fondazioni culturali a continuare ad offrire i propri servizi ai cittadini, nonostante le continue diminuzioni dei finanziamenti pubblici degli artisti e le opere da essi create sono capaci di fornire interpretazioni puntuali della realtà, aiutandoci a vivere con maggior consapevolezza il nostro tempo e ad acquisire una visione più critica su quello che accade. Per questo credo che l’arte contemporanea e i suoi linguaggi debbano diventare alla portata di tutti e per questo la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo continua a impegnarsi, quotidianamente, da ormai quindici anni.

anita pepe

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