Dalla Germania con colore: Albert Oehlen a Capodimonte

15 febbraio 2009

La prima volta in un museo italiano

 

Avanti tutta. A coronamento di una settimana zeppa di opening, la Soprintendenza speciale per il Polo Museale napoletano fa il bis a meno di ventiquattr’ore di distanza. Così, se venerdì sera s’era tagliato il nastro della retrospettiva di Renato Mambor a Castel Sant’Elmo, ieri mattina a Capodimonte apriva la personale di Albert Oehlen, progettata e realizzata dalla Galleria Alfonso Artiaco. Dieci imponenti dipinti nella Sala Causa, spazio realmente “espositivo” che aveva già mostrato i suoi pregi con Louise Bourgeois, grazie al notevole impatto delle sculture sospese nel vasto ipogeo ristrutturato da Liliana Marra. Lasciata la penombra che aveva avvolto le inquietanti fantasie della veneranda franco-americana, l’ambiente si veste di luce fredda per l’artista tedesco. Risaltano così lavori dinanzi ai quali più d’uno spettatore si sarà lasciata sfuggire l’associazione con Mimmo Rotella,  automatica quando s’assiste alla trasformazione d’un comune manifesto in opera d’arte. Qui però i poster sono incollati sulla superficie candida della tela, al contempo strumento espressivo e supporto aggiuntivo per oli dai forti cromatismi. Del resto, l’abbinamento e l’amalgama sono familiari ad Oehlen, sebbene lo scarto di questi site specific si precisi, a ritroso, attraverso il paragone con un quadro degli anni Novanta posto all’ingresso, dove il dominio pittorico informale era assoluto. Dopo l’addizione Pop, permangono tuttavia i colori decisi, l’impegno gestuale e la ricerca emotiva, con esiti che non temono di apparire poco seducenti o, addirittura, sgradevoli. “Sovrapittura”, l’ha definita nel testo critico Achille Bonito Oliva che, in questa congiuntura di febbraio, incarna il vero trait d’union tra le istituzioni cittadine, incastrando l’incursione a Capodimonte tra la curatela del suddetto Mambor e quella dell’antologica di Alighiero Boetti prevista sabato prossimo al Madre. Una questione sempre dibattuta, quella del coordinamento tra enti culturali partenopei, che riparte ora da un nuovo tentativo. Caso strano, dopo il ventennale della galleria festeggiato nel 2006 al Pan, tocca ancora ad Artiaco fare da apripista in un esperimento di sinergia tra pubblico e privato. Destinato a ripetersi: ad anticipare i prossimi eventi è il Soprintendente Nicola Spinosa, che cerca di fare necessità virtù “prestando” – per il momento gratis – le sale della Reggia a iniziative affidate ad associazioni e gallerie. Spicca tra queste Lia Rumma, la quale – sopiti i passati dissapori (la pax fu sancita tre anni orsono col prestito dei due Kiefer attualmente esposti al secondo piano) – rientrerà trionfalmente a novembre col grande William Kentridge. Si dovrebbe sbloccare anche la mostra di Luigi Ontani, più volte annunciata in passato, in tandem con gli Incontri Internazionali d’Arte. Contemporaneamente al solo-show dell’eccentrico artista emiliano, dovrebbe partire la personale di Luciano D’Alessandro, a ricordare un altro dei “sogni” di Spinosa, il Museo della fotografia napoletana a Villa Pignatelli (dove, alla fine di marzo, inaugurerà Vincenzo Gemito). Il condizionale è d’obbligo, per scaramanzia ma anche perché, notoriamente, il piatto piange. E, con l’aria di crisi che tira, lasciate che i privati vengano a Capodimonte…

(Roma, 15 febbraio 2009)

 

 

 

 

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