La deriva dei continenti

15 novembre 2012

Danilo Correale_ The Warp and the Weft_ 2012_ medium weight wool fabric, variable dimension. Installation View at Peep Hole. Courtesy The Artist and Supportico Lopez Berlin

 

Quando una mostra è così esplicita, e per giunta con una breccia su ulteriori possibilità, si può tentare il gioco di un suggerimento a posteriori. Senza rinunciare alla descrizione come punto di partenza: dal soffitto della galleria pendono grandi pezze di tessuto, imponenti come stendardi trionfali. Tartan preziosi, che Danilo Correale ha disegnato per denunciare le trame oscure dell’economia globale, estrapolando i colori dalle dominanti cromatiche dei loghi dei più potenti istituti finanziari operanti in Europa, Asia, Africa, Nord e Sud America. Vessilli appositamente confezionati in Scozia, quasi in sostituzione di quelle bandiere sulle quali non soffia più il vento della rivoluzione, ma quello di una protesta che fatica a costruirsi una propria iconografia.
Naturale, e coerente con il percorso dell’artista, il sottinteso impegnato dell’esposizione, il cui titolo – liberamente didascalico – sembrerebbe contraddire la scelta espressiva. Come a dire, concettuale sì ma mica tanto, tale da rendere la mostra – che pure è parte di un lavoro più articolato, partito nel 2010 – vagamente simile a un instant book, in cui l’autore prende di petto, e di pancia, l’attualità.
Che il ciclo (e, purtroppo, le condizioni che lo hanno determinato) non sia ancora finito lo si evince dall’intento di una formula “aperta”, al momento ancora in fase “embrionale” e – parole di Correale – pensata “né per dogma né per necessità, ma solo come uno dei mille possibili camouflage che questo progetto potrebbe avere”. Sviluppo prospettato: adoperare la stoffa d’artista per cucire degli abiti.
E allora, vista la natura condivisa di tale eventualità, in queste righe ci si prende la licenza di immaginare alcuni ipotetici esecutori del passo successivo. Chi potrebbe “vestire gli ignudi” col nobile tartan? Il laboratorio sartoriale di un penitenziario, quello dove non finiranno mai i grandi evasori, i pendolari dei conti cifrati o i Madoff nostrani (e, ove mai dovessero varcarne le mura, la sosta sarebbe breve); i Gordon Gekko che sulle crisi ci campano, iniettando altri veleni in una finanza sempre più tossica. In alternativa, a destreggiarsi tra forbici e cartamodelli potrebbe essere la pletora di cassintegrati gentilmente offerta da quegli imprenditori che, per cavarsi d’impaccio, dopo aver invocato (e magari ottenuto) aiuti di Stato non trovano di meglio che “esternalizzare”. Oppure i neets, eterni adolescenti o giovani di ritorno, i “ragazzi fuori” dal mercato del lavoro e dalla formazione. E ancora, le operaie che per pochi, neri euro al giorno rischiano di lasciare l’ago e il filo della vita sotto le macerie di fabbriche improvvisate. Insomma, categorie in cui non si dovrebbe avere difficoltà a reperire quella manodopera a basso costo – e ovviamente clandestina – su cui il capitalismo continua ad erigere le sue cattedrali di cartongesso.
Negli ambienti attigui della galleria, l’incursione video di Anna Franceschini offriva alla riflessione di Correale la sponda dell’ironia, filmando camicie “rianimate” da getti di vapore in una stireria. Parodia della creazione in un ribollente calderone primordiale, che insuffla lo spiritus vitale per un breve, illusorio istante: anche qui la confezione impeccabile, afflosciandosi un attimo dopo aver raggiunto dopo l’acme, ci metterà poco a svelare le sue debolezze.
System failed.

           

         

Danilo Correale_ The warp and the weft e Anna Franceschini_ The stuffed shirt. Milano, Peep Hole

(4 ottobre – 10 novembre 2012)

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