Cosa resterà di questa Biennale?

5 novembre 2009

biennale 2009_opinioni

Un evento globale per grandi e piccini. Per Fare Mondi colorati e spensierati. Però, a quanto pare, la Biennale è un Paese per (grandi vecchi) vecchi…

Lasciate che i bambini vengano alla Biennale. Somiglia a tratti a un Kindergarten la mostra di Daniel Birnbaum, tale è l’abbondanza di richiami più o meno diretti al fanciullino che c’è in noi: l’allegra scuola di Massimo Bartolini, il carnoso giardino di Nathalie Djurberg, i caroselli caleidoscopici di Hans Peter Feldman, la scintillante merceria di Moshekwa Langa, il teatrino dei balocchi di Madelon Vriesendorp, i disegnini di Joan Jonas,le installazioni di Öyvind Fahlström, i birillonileitmotiv di André Cadere. E stimoli, inviti: pigia il campanello, cammina sulla passerella, segui le orme del Gutai, attraversa – per ben due volte – le stanze colorate. Senza contare la ricca offerta di laboratori didattici e atelier creativi. Una Biennale formato famiglia, insomma, un appuntamento in cui si sta tutti insieme appassionatamente: cinesi e tibetani e indiani, palestinesi e israeliani. Più che una Biennale terzomondista, una Biennale cerchiobottista, attenta a non scontentare alcuna forma di creatività e a non urtare il pubblico. Le ferite della Storia non sanguinano (neppure nella Germania in bianco e nero di Simon Starling), le questioni politiche non scottano (tutt’altro, vedi Igor Makarevich ed Elena Elagina). Rifare il famoso altro mondo possibile non è tra gli obiettivi contemplati. Tutt’al più si possono rifare ambienti e città, suggeriscono proposte molto “Biennale dell’Architettura” -Carsten Höller su tutti -, tendenza quest’anno dilagante anche tra le partecipazioni nazionali (però verrebbe pure da chiedersi quanto le archistar soffrano d’invidia nei confronti dei “colleghi” artisti…). (altro…)

ruohokarlene loverich@mailxu.com