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Ritagli di tempo

13 settembre 2014

Nel salone della parrucchiera, siamo in quattro. Una sopporta la tinta in posa sopra la faccia nascosta, una bella agée sorveglia la sua messa in piega, un’altra mi siede accanto sul divanetto vagamente Dalì. Ci avvicendiamo ai lavandini, sulle poltroncine girevoli, davanti alle mensole e alla cassa. Con la coda dell’occhio sbircio l’accerchiamento danzante di specchi e complimenti a lavoro finito. Penso a Basile, alla sua barocca descrizione di questo sfarfallare tutto femminile (“Chi co lo schiecco, chi co la carrafella d’acqua de cocozze, chi co lo fierro de li ricce, chi co la pezza de russo, chi co lo pettene, chi co le spingole, chi co li vestite, chi co la cannacca e collane…”). Poi ci sono io, che dopo tre stantuffate alla poltroncina non tocco terra coi piedi e li dondolo, mentre rido, bercio, protesto per le corna che mi si sono drizzate in cima al cocuzzolo, concordo lunghezze, pianifico hairstylismi retrò e parlo, parlo. Garrula, sempre un tono sopra. Insomma, il giorno dopo realizzo che ho fatto un casino del diavolo. Tutto da sola. Le altre signore forse hanno parlato, ma io non le ho sentite, indaffarata a riempire l’ambiente con i miei decibel. (altro…)

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La posizione del missionario

30 agosto 2014

Domani, come ogni vigilia di inizio anno scolastico, su Fb mi cadrà purtroppo l’occhio – e non solo quello – su una serie di citazioni liberamente tratte dai soliti Vecchioni, D’Avenia e compagnia bella (gente che, nella vita, guarda caso ha trovato un altro modo di “arrotondare”). Retorica su quanto è bello insegnare, su quanto è importante trasmettere, su quanto sono dolci e profondi i rapporti umani tra le aule, insomma su quanto gli insegnanti di ogni ordine e grado siano dei missionari. Missionari, anche se spesso la posizione più congeniale per loro è la pecorina, voluta o no.
In ogni caso, volevo dire questo: io faccio questo mestiere per guadagnarmi da vivere. Perché ho bisogno di soldi per l’affitto, le bollette, la spesa. Insomma, quello che tutti sanno. Solo che io non posso dirlo perché agli occhi dell’opinione pubblica devo apparire una missionaria, crocerossina, psicologa, zia saggia, premio nobel e, ormai sempre più spesso, cameriera.
Invece sono una lavoratrice.
Che vuole vedersi riconosciuto il proprio diritto alla dignità professionale, senza finti luccichii e zucchero filato.
Consapevole delle tante mancanze proprie e altrui, altrettanto dei meriti. Ma che è veramente stufa marcia di leggere le melensaggini del 31 agosto, specie di fronte alla constatazione di appartenere ad una categoria di lavoratori (non missionari) senza alcuno spirito di corpo, senza alcuna consapevolezza o cultura dei propri diritti, senza alcun potere contrattuale, senza alcun riconoscimento sociale. Anzi disprezzata da tutti e perfino da sé stessa.
Quindi aggrappatevi alle vostre citazioni quando vi renderete conto che i colleghi maschi non somigliano affatto a Luca Argentero o a Scamarcio, quando vi sbatteranno in classi dove faranno muro contro muro, quando vi lasceranno soli a sfangarvela con alunni senza sostegno, quando i genitori vi tratteranno da servi dei propri pargoli, quando qualche mamma minaccerà di ricorrere al provveditorato perché l’insufficienza del suo piccolo genio è una vostra mancanza, quando sarete mobbizzati, quando vi costringeranno a restare fino a tarda notte ai consigli di classe perché i soliti pseudopsicologi mancati dovranno concionare.
Insomma, non dimenticate che la scuola è ANCHE questo. E fingere di non vedere, di non sapere non aiuta. Non aiuta noi, non aiuta i nostri alunni.
Buona fortuna.

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Bake out Italia

18 gennaio 2014

pandorinoNon so se l’avete notato. Magari da voi è diverso, ma in questo lembo di Nord Ovest – e non per la prima volta – l’anno è iniziato con la Grande Delusione: la scomparsa dei pandori e dei panettoni in offerta speciale.
Premessa: nel paterno ostello meridionale è sempre stata consuetudine rimpinzarsi post rem di tali bontà, senza indulgere al campanilismo. “Balocco o Alemagna purché se magna” era il motto allorquando, dopo Natale, salumerie e pasticcerie gareggiavano in svendite di dolciumi industriali, dalla barba di Babbo Natale gusto zabaione alla testa di Baldassarre ricoperta di finissimo cioccolato al latte. Poi arrivava Pasqua e ricominciava il giro: così, tra le colombe con e senza canditi, la campana gianduia e l’agnellino glassato, i primi caldi ti coglievano inesorabilmente impreparato alla prova costume. (altro…)

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