Unus papilio erat

26 gennaio 2018

Giovanni Gaggia_ Unus papilio erat

La natura, la memoria, il tempo costituiscono la linea d’orizzonte di Giovanni Gaggia. Il suo è un passare sulla terra leggero, anche quando intinge le dita nel sangue, che siano le grandi tragedie della storia o l’interior hominis. Corpo politico, corpo animale, corpo (a)sessuato, materno e maschile insieme: una molteplicità di passioni che non perde mai di vista la poesia.
Perché, anche di fronte ad un progetto polifonico, collettivo, l’artista non banalizza la partecipazione degli elementi esterni, riducendola a pura presenza, ma cerca sempre di stabilire un contatto intimo. Nel suo lavoro, l’altro è fondamentale – come partner, come sguardo, come esecutore – e la condivisione è un’esperienza pensata per risuonare su lunghe distanze.
È il caso di questa “ceramica organica”, stadio finale di un’opera realizzata oltre dieci anni fa. Un cuore mummificato, depurato della traccia ematica. Ormai innocente come un pane. “Unus papilio erat”: una volta aperto, sembrava una farfalla. Ma è stato ricucito. Suturato e protetto, fa scudo a sé stesso. Impreziosito dal gesto di che ne ha tratto un calco, rinato dal negativo: dalle mani che l’hanno plasmato e dal calore che gli ha donato durezza e luce. Puro e incorruttibile, eppure fragile.
Un meraviglioso oggetto estetico, icona del suo creatore. Appello, fede nell’arte e nella vita in forma di litote.
Un cuore così bianco, generato da mani rosse di sangue e di fuoco. Precipitato alchemico di un unico, continuo viaggio, qui arrivato ad una nuova destinazione.

(Testo per il catalogo BACC – Biennale d’Arte Ceramica, Frascati, 27 gennaio – 28 febbraio 2018)

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