Money for nothing

17 ottobre 2011

 

Anawana Haloba_ The Oracle_ 2011_ sculptural performance installation_ courtesy the artist_Galleria Franco Soffiantino, thanks to Victor Mutelekesha

I responsi dell’oracolo, si sa, erano spesso ambigui. Se ne accorgevano i guerrieri che, per un vaticinio mal interpretato, perdevano la vita in battaglia. Quando cioè era troppo tardi per capire il senso di quell’ibis redibis non morieris in bello. Le formule indecifrabili di allora sono oggi le cifre della finanza mondiale, i numeri che si rincorrono nelle previsioni (o scommesse?) degli economisti e sui pallottolieri dei Palazzi. Più somiglianti a calcoli babilonesi che a conti esatti, scritti sotto dettatura della Dea Ragione. È per smentire o confermare questi pronostici – dal  catastrofico al rassicurante – che Anawana Haloba consiglia di rivolgersi ogni sabato all’oracolo che performa in galleria, infilandosi sotto una coperta di monete. Una coltre pesantissima, più simile a una punizione divina che ad uno stigma profetico (ma le due cose nell’antichità spesso erano associate, vedi Cassandra). Mentre l’oracolo pronuncia vaticini forse non meno affidabili di quelli declamati dalle colonne dei giornali, dalle cattedre universitarie e dalle tribune politiche, il salottino attiguo sembra pronto per una discussione sui medesimi temi: sviluppo, mercato globale, economie emergenti. Ad attendere i partecipanti, testi probabilmente un po’ datati, come depassé è l’arredamento. Già, perché il summit, il simposio, la tavola rotonda o come volete chiamarlo si svolge in una favela: ed è da questa catapecchia del vate (o sibilla) che l’artista parte per affrancarsi dagli stereotipi terzomondisti cui la sua origine sembra destinarla. Senza cadere in una rabbia di maniera, in Say it as it is decide di rovesciare le parti: basta un semplice cambio d’abito ed eccola nei panni del colonialista esprimere, con le parole del poeta Aimé Césarire, la sua negritude. Chiude la mostra When the private became public, pezzo di repertorio realizzato per la Biennale di Sydney del 2008. Un video proiettato dentro un’installazione a forma di “cratere”, che riunisce cinque donne intente a dissotterrare nel deserto australiano un groppo di lenzuola. Dal ciglio del pozzo, lo spettatore s’affaccia su un’opera a più mani, e tutte femminili, segno della capacità  muliebre di aggregarsi, dare la scossa, anche prima dei movimenti femministi e anche in paesi geograficamente lontani. Un accostamento archetipico (donna/terra) declinato in politica, per celebrare la fatica e la perseveranza di queste Penelopi ribelli, ostetriche della rivoluzione il cui sudore bagna la Storia più del sangue dei maschi, ma si è asciugato più in fretta.

Anawana Haloba_ My lips are sealed_ Torino, Galleria Franco Soffiantino

(22 settembre – 22 ottobre 2011)

         

jannellciera@mailxu.com