Giungla d’asfalto

30 maggio 2011

Crescita’. ‘Sviluppo’. ‘Espansione’. ‘Incremento’. Ma anche ‘germoglio’, ‘escrescenza’. C’è tutto questo dentro la parola “Growth”, carrellata di immagini sul rapporto tra spazi urbani e Natura. Cartoline di una dismissione, nelle quali la “Matrigna” di leopardiana memoria appare tornata in possesso di ciò che le apparteneva, e con esiti variegati…

Anna Positano_ Untitled from the series Growth_ 2009_ courtesy CHAN, Genova

Anna Positano. Iniziamo dalle presentazioni…

Sono uno dei tanti architetti che hanno deciso di non portare avanti la professione, ma di gettarsi a capofitto nella fotografia. Dopo la laurea sono andata a studiare Fotografia a Londra (MA Photography) e una volta tornata a Genova ho deciso di fare la fotografa di architettura. Potrebbe suonare banale, ma la cosa mi piace moltissimo. In realtà cerco di dedicare molto tempo ai miei progetti personali – quasi tutti relativi al paesaggio urbano e all’architettura –  e tutto quello che guadagno dal lavoro lo reinvesto per portarli avanti. Il mio tempo libero, invece, è assorbito dall’associazione Disorderdrama che organizza eventi culturali e si occupa di musica. Fotografando i musicisti sul palco sono entrata in contatto con molti di loro e con alcuni (per esempio i Port-Royal) ho trovato un’affinità particolare. Capita così che si parli di musica utilizzando le stesse categorie della fotografia e viceversa, e alla fine la collaborazione nasce spontanea.

 

E ora il sottotitolo: “Botanizzare l’asfalto”. Un progetto, un sogno, un processo già in atto?

Ritengo che sia abbastanza giusto vederlo come un processo già in atto, visto che l’interesse per la Natura negli spazi urbani è vivo da molti anni. Questo sottotitolo è stato deciso dalle curatrici e trovo che sia molto rappresentativo del progetto. Infatti l’accostamento ossimorico dei due termini descrive in modo quasi didascalico il mio lavoro; in più Walter Benjamin ha utilizzato l’espressione “auf dem Asphalt botanisieren” per definire l’azione del flâneur, che sta alla base del mio lavoro di ricerca sul paesaggio.

 

Dove sono state scattate le foto?

Ho iniziato a scattare le fotografie a Londra per il mio MA Photography, e il progetto era molto ampio – riguardava in generale gli spazi interstiziali della città. Nel definire che cosa volevo cercare in questi spazi, ho deciso che le fotografie dovevano essere fatte a Genova, un po’ perché già sapevo dove andare e un po’ perché a Londra poteva essere rischioso. Poi c’era tutto un sottotesto affettivo per un’area di Genova, il ponente, che fin da piccola ho vissuto solo passandoci in macchina. Lì avevo visto industrie e spazi abbandonati, ma non mi ero mai fermata per osservarli, quindi con Growth ho colto l’occasione per esplorarli.

 

Sono immagini colte in modo estemporaneo o piuttosto frutto di ricerche, sopralluoghi?

Più o meno il processo si basa sul mescolare la geografia della memoria con quella della città reale: carico in macchina il mio banco ottico e il cavalletto, mi ricordo che in un punto non troppo preciso avevo visto qualcosa di interessante e mi confronto col tuttocittà – o con google maps – e poi parto. Una volta trovato quello che cerco inizio a vagare da sola per lo spazio in questione; a poco a poco mi rendo conto che ci sono cose più interessanti di quella che ho trovato per prima e inizio a fotografare. Non faccio mai più di 4-5 scatti. A volte poi ritorno nello stesso posto, perché magari la luce non è quella giusta oppure mi serve un’altra inquadratura….

 

Quanto c’è di postproduzione?

Per Growth si tratta di stampe a colori fatte in camera oscura dal mio stampatore – Arrigo Ghi – e poi montate su alluminio. Visto che non c’era l’esigenza di avere immagini “pulite”, come capita spesso nella fotografia di architettura, ho deciso di godermi la pellicola 10×12 senza alcun passaggio digitale.

 

Quale aspetto ti interessa evidenziare maggiormente, anche dal punto di vista cromatico? Il contrasto tra il verde e il grigio-asfalto, o al contrario l’armonia tra le parti?

In Growth mi ero ripromessa di accostare Natura e spazio costruito in maniera conflittuale. Andando avanti con la ricerca, però, mi sono accorta che non si trattava più di un rapporto dialettico, bensì della costruzione di qualcosa di diverso e unitario, quello che Gilles Clément chiama Terzo Paesaggio. In alcune immagini, per esempio, la quantità di verde raffigurato è esigua; le piante non si distinguono subito, proprio perché sono in armonia col costruito.

 

Il tuo “racconto per immagini” è la storia di una sconfitta o di una rivincita?

Se guardiamo la storia secondo il tempo degli esseri umani possiamo parlare di sconfitta dell’uomo – il fallimento della produzione industriale e la distruzione dell’ambiente, per citarne alcuni. Se la vediamo secondo il tempo della Natura, un ciclo continuo, credo che si possa parlare di una rivincita costante di essa sull’uomo.

 

Buttiamola sul calcio: come finisce la partita natura- spazi urbani?

Oh, beh, sono anche architetto e ti posso dire che non vorrei esser lì quando l’arbitro fischierà la fine!

 

Anna Positano_ Growth. Botanizzare l’asfalto_ Genova_ CHAN

 

(31 maggio/1 settembre 2011)

champine