Anselm Kiefer – Odi Navali

6 febbraio 2006

Napoli, Galleria Lia Rumma

Le ceneri di Anselm, nato sotto Saturno. Trionfa l’opera al nero dell’artista tedesco, che torna a Napoli per cantare la burrascosa epopea dello Spirito. Tra pessimismo storico e forze della Natura…

Plumbeo. Per quell’implacabile ragion pura che fruga, senza alibi né pietà, tra i maligni sedimenti della Storia. Per quelle navi che, come pendoli, se ne stanno coricate tra onde e nuvole. Per quei cieli pesanti e corruschi, in balia dello scatenarsi di furie nemiche. Per la scelta caduta di nuovo sull’elemento saturnino per eccellenza, primo gradino alchemico sul quale il piede vacilla. E che la trasmutazione non sia un gioco di prestigio, ma un duro esercizio filosofico lo sa bene e lo dimostra Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945; vive in Francia), il quale nel corpo percosso di queste nuove Odi navali imprime ancora una volta il segno di un’estetica rigorosamente etica. Mutuato da una raccolta poetica dannunziana, il titolo potrebbe depistare, laddove accostato all’ampollosa retorica bellicista del pescarese. Analogamente, una lettura evocativa del sensuale e calligrafico panismo del Vate si rivelerebbe assolutamente difforme rispetto ad una visione della Natura che è, invece, qui ricondotta ad una trama di forze elementari. Piuttosto, se il riferimento letterario è proprio ineludibile, queste tre enormi cantiche pittoriche, pregne dell’altero eroismo degli indomiti vinti, serbano il fiero carattere di “odi barbare”, nelle quali dall’oscura violenza del giambo traluce la severa mestizia dell’elegia. Impetuoso e convulso è il ritmo che sconvolge le acque protagoniste dei dipinti, impedendone tuttavia il dilagare: un abisso livido, metallico, rigettato da se stesso sotto la sferza agghiacciante dell’uragano. Cataclismi del Tempo e dello Spirito che trionfano nel solidificarsi della materia cromatica: stesure come zolle siccitose, scorze e cortecce tra le quali, in mezzo a balenanti colpi di bianco, va ad annidarsi una pioggia di ruggine. Mari che l’artista solca nel senso più fisico della parola, arando con teutonico incedere la spuma di cartilagini peste di Mare Nostrum, monumento ai caduti insepolti il cui respiro epico frange le croste di una salsedine antica.

Flutti pettinati col rastrello in Hero un Leander, dove il drammatico epilogo del mito è interpretato attraverso il bilanciamento compositivo tra la dinamica fuga prospettica e la fessura che, come un’umorosa ferita, spacca in due la tela, mentre uno spettro d’angoscia pare incombere sull’orizzonte. Il rituale teurgico si compie nella più saturnina e “tedesca” di queste opere al nero, Melancholia e, segnatamente, in quel prisma aggettante che è insieme ricordo di Dürer, precipitato di memorie private, ampolla d’energia interiore e spleen creativo. È in quest’urna, in mezzo ai rottami del suo vecchio studio tedesco, che Kiefer sigilla l’“atto di dolore” del proprio pessimismo integrale. Pulvis es. Ma almeno qui è la polvere d’una stella.

anita pepe

mostra visitata il 22 gennaio 2006

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